Decreto Salva-Roma: cosa succede senza
Massimo Percossi/Ansa
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Decreto Salva-Roma: cosa succede senza

Ecco cosa non sa chi festeggia per la bocciatura del "Salva-Roma"

"Diciamolo con chiarezza, per marzo non ci saranno i soldi per i 25mila dipendenti del Comune, per il gasolio dei bus, per tenere aperti gli asili nido o raccogliere i rifiuti e neanche per organizzare la santificazione dei due Papi, un evento di portata planetaria".

Alla fine Ignazio Marino è sbottato. Pare che la sua minaccia di bloccare la città da domenica non sia piaciuta molto a Palazzo Chigi. Fonti riservate riferiscono di una telefonata piuttosto burrascosa tra Matteo Renzi e il sindaco di Roma. A scatenare la reazione del primo cittadino la bocciatura del decreto che avrebbe dovuto mettere in sicurezza i conti della Capitale battezzato, forse poco felicemente, “Salva-Roma”.

Definire così la serie d'interventi di cui Roma necessita per evitare il default, ha infatti provocato in molti altri cittadini italiani la sensazione che Roma non sappia cavarsela da sola, che i suoi amministratori siano dei totali inetti e i suoi abitanti dei piagnoni raccomandati che godono di privilegi mai visti altrove.

E' su questo diffuso, quanto radicato, sentimento di anti-romanità che Movimento5Stelle, Lega Nord e Scelta civica hanno fatto leva per far passare una legittima richiesta – ossia quella di dotare Roma degli strumenti necessari per essere anche Capitale – per una pretesa infondata da rispedire al mittente sbuffandogli in faccia.

A scorrere i commenti postati in queste ore sui social network o sotto gli articoli che riportano la notizia, si ricava quanto la maggior parte delle persone siano prevenute nei confronti di questa città o all'oscuro delle sue caratteristiche o di certi meccanismi. Molti applicano transitoriamente il giudizio che hanno su Ignazio Marino al resto degli abitanti; altri ancora citano confusamente gli appalti truccati, le clientele malavitose, gli sprechi e si augurano che Roma sia invasa dalle cavallette, che venga l'Apocalisse, il giorno del giudizio, la condanna finale e la dannazione per l'eternità.

Ma cos'è che non sanno quelli che, imputandole l'intera responsabilità della situazione in cui si trova, tifano perché Roma fallisca o obiettano che né Londra, né Parigi né New York hanno mai potuto contare su una leggina ad hoc che le metta in salvo?

ROMA E' ENORME

Roma ha il territorio comunale più vasto d'Europa e amministra un'area che per dimensione è grande, all'incirca, quanto la somma dei territori dei comuni di Milano, Napoli, torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Catania ed è superiore a quella di New York, Berlino, Madrid e Parigi.

ROMA E' UNA CAPITALE SENZA CAPITALE

La dizione di “Roma Capitale” è una scatola vuota. Roma è, infatti, una Capitale solo nominalmente. La sua figura giuridica, anche dopo la riforma del titolo V della Costituzione che avrebbe dovuto trasformarla in Città metropolitana dotata di strumenti amministrativi e risorse speciali, è rimasta quella di un qualsiasi comune, con gli stessi strumenti giuridici di Canicattì, benché nessuna città al mondo con più di 1 milione di abitanti sia oggi un semplice comune. Se New York, Parigi, Londra non hanno bisogno di un decreto che le salvi è perché possono contare su poteri e strumenti adeguati al loro ruolo e alle loro necessità: Parigi e Londra sono città regioni, New York vanta uno statuto speciale.

LA FREGATURA DI ESSERE DIVENTATA “ROMA CAPITALE”

La riforma cosiddetta di “Roma Capitale” ha aggiunto nuove competenze a quelle che la città aveva prima come comune. Si tratta in particolare della tutela dei beni artistici e culturali, della gestione dei trasporti pubblici e di servizi connessi al turismo. Tuttavia per l'espletamento di queste nuove competenze non sono stati mai destinati a Roma né fondi aggiuntivi, né strumenti amministrativi particolari né risorse umane sufficienti per far fronte ai costi che queste nuove funzioni. Roma, naturalmente, non poteva rifiutarsi di assumere queste competenze. Ha dovuto assumersele. Una bella fregatura, insomma.

LE CASSE DEL CAMPIDOGLIO CI RIMETTONO SEMPRE

Roma incassa molto meno di quanto spende per mantenere i servizi necessari ai romani e a tutti gli altri italiani che la utilizzano come loro Capitale. Ha in carico tutti i costi senza disporre di risorse economiche adeguate e autonomia normativa. Gli incassi consistono unicamente negli introiti delle tariffe applicate ai servizi e in piccole imposte comunali. Le tasse versate dai romani non sono nella disponibilità del comune ma in quella della Regione e dello Stato che le versano nelle casse comunali in quantità molto inferiore all'intero importo. Non serve uno scienziato per capire che Roma, come qualsiasi altra città con più di 1 milione di abitanti, non può garantire ai suoi oltre 2 milioni e mezzo di residenti più gli altrettanti che la frequentano quotidianamente, i servizi necessari contando solo sulle imposte versate dai suoi cittadini.

ROMA NON PUO' ATTINGERE RISORSE DAI PRIVATI

Roma non può attingere soldi dai privati se non in modo limitato perché gli strumenti giuridici in mano ai comuni (e, lo ripetiamo, Roma ha ancora gli strumenti giuridici di un qualsiasi comune), non consentono la creazione di accordi e contratti con attori privati tali da supportare la realizzazione di opere pubbliche o interventi per il territorio. Mentre le altre capitali possono dunque incassare più denato dalle tasse e fare accordi con i privati per la realizzazione di opere pubbliche e la gestione di servizi, Roma no.

ROMA E' SOTTO ORGANICO

Qualcuno pensa anche che Roma, con i suoi 40mila dipendenti sia diretti (nei dipartimenti e nei municipi) che indiretti (nella aziende municipalizzate), paghi troppi stipendi inutili. Ma è così? Studi certificati hanno stabilito che in rapporto al numero dei suoi abitanti Roma è sotto organico.

ROMA PAGA PER TUTTI

A Roma si svolgono in media 2mila manifestazioni all'anno. Chi paga? Roma. Cosa paga? Tutto. Dagli interventi sul traffico (variazioni linee degli autobus, incremento del personale, pagamento degli straordinari, chiusura delle strade), al mantenimento della sicurezza (pagamento straordinari agenti di polizia municipale), alla pulizia. Anche gli eventi che si svolgono nello Stato del Vaticano sono a carico del comune di Roma. A differenza di quanto molti pensano, i pellegrini non portano alcuna ricchezza alla città. Si fermano al massimo tre giorni e generalmente alloggiano in strutture del Vaticano. Così anche conclavi, funerali, santificazioni e beatificazioni diventano una spesa aggiuntiva cui far fronte attingendo dalle casse comunali.

NESSUNO PRIVATO SI CARICHEREBBE DUE CARROZZONI COME AMA E ATAC

Spesso si sente dire: ma perché non vendere le municipalizzate che costano di più e sono in perdita? Magari, ma a chi? Quale privato comprerebbe un'azienda, come l'Atac, che ha il maggior numero di personale d'Europa e costa più di quanto produce? L'ulteriore obiezione è che il Comune, al netto degli sprechi e delle parentopoli, potrebbe imporre un piano di risanamento lacrime e sangue che passi anche da un aumento del costo del biglietto di almeno il 300%. Ma a quel punto come si farebbe a chiamarlo ancora “servizio pubblico”?

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Claudia Daconto