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(Ansa)
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Strategia militare e politica dietro il ritardo dell'operazione di terra a Gaza di Israele

Ecco le ragioni dietro la strana incertezza mostrata dal governo di Tel Aviv e che ha irritato non poco i militari

«Israele si sta preparando per l'invasione di terra a Gaza ma non è possibile dare altri dettagli al momento». Lo ha detto ieri sera il premier Benyamin Netanyahu parlando alla nazione. «Ci prepariamo all'ingresso a Gaza, non dirò come e quando. Ci sono considerazioni che non sono note al grande pubblico. La data dell'ingresso nella Striscia sarà decisa dal Gabinetto di guerra». Poi ha aggiunto: «Gli obiettivi sono due: eliminare Hamas e liberare gli ostaggi. Tutti quelli che hanno partecipato all'attacco del 7 ottobre sono passibili di morte». Netanyahu ha parlato anche delle responsabilità per quanto accaduto ed ha ammesso per la prima volta le proprie responsabilità: «Il 7 ottobre è stato un giorno nero. Chiariremo tutto quello che è successo. Tutti dovranno dare spiegazioni per quell'attacco, a cominciare da me. Ma solo dopo la guerra. Il mio compito ora è quello di guidare il Paese in guerra fino alla vittoria». Questa notte le forze dell'Esercito israeliano (Idf) sotto il Comando della Brigata Givati (fanteria) hanno effettuato un raid mirato utilizzando carri armati Merkavà nel territorio della Striscia di Gaza settentrionale, come parte della preparazione dell'area per le prossime fasi del combattimento.

Come si vede in alcuni video che sono stati diffusi dall’Idf, nell'ambito dell'attività i soldati israeliani hanno individuato e attaccato numerosi terroristi palestinesi, distrutto infrastrutture terroristiche, postazioni anticarro e svolto lavori di organizzazione dell'area. Le truppe hanno poi lasciato l'area al termine della missione. Israele ha accettato, almeno per il momento, la richiesta degli Stati Uniti di mettere in atto le proprie difese aeree per proteggere le truppe americane nella regione prima di una prevista invasione di terra di Gaza, secondo funzionari statunitensi e altre fonti che conoscono come gli israeliani pianificano le loro operazioni. Mentre il Pentagono sta schierando almeno una dozzina di sistemi di difesa aerea nella regione, anche per le truppe statunitensi in servizio in Iraq, Siria, Kuwait, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, per proteggerle da missili e razzi. I funzionari statunitensi finora hanno convinto gli israeliani ad aspettare finché quei pezzi non saranno stati piazzati. C’è poi il tema degli oltre 220 ostaggi sui quali sarebbero in corso trattative sotterranee portate avanti dal Qatar (che finanza i gruppi terroristici a Gaza con centinaia di milioni ogni anno) e dall’Egitto. Ma qui occorre fare una riflessione. Perché terroristi di Hamas hanno rapito tutte queste persone? Gli ostaggi sono una sorta di «assicurazione sulla vita dei terroristi» che sanno benissimo quanto il loro destino preoccupi Israele e non solo, e rilasciarli li lascerebbe senza l’unica moneta di scambio da utilizzare per ritardare o tentare di evitare l’operazione di terra. Complice anche le grottesche dichiarazioni di alcuni leader politici europei come Emmanuel Macron che ha dichiarato: «Una massiccia operazione terrestre di Israele nella Striscia di Gaza sarebbe un errore». In Israele l’attesa è spasmodica e i segnali di nervosismo sono tangibili anche nell’esercito che vorrebbe procedere quanto prima ma oggi è corretto parlare di operazione ritardata?

Lo chiediamo al Generale di Corpo d’Armata Giorgio Battisti: «Non ritengo si possa parlare di continui ritardi in quanto Israele non ha mai accennato ad un differimento nell’intervento, che è piuttosto una semplificazione mediatica. Una operazione di tale natura richiede uno specifico approntamento delle forze, in termini di ‘preparazione del terreno’ (in atto con attacchi dal cielo ad obiettivi in superficie e alla rete di tunnel, incursioni mirate da terra), addestramento (parte delle unità è composta da riservisti che devono essere preparati al difficile combattimento urbano), logistica (equipaggiamenti, predisposizioni sanitarie, dislocazione rifornimenti e munizioni, ecc.), intelligence (posizione ostaggi, centri di resistenza, vie d’ingresso/uscita sotterranee, ecc.), predisposizione umanitarie per accogliere i civili via via estratti. A questo quadro operativo occorre aggiungere sia le azioni internazionali tendenti ad esfiltrare preventivamente il maggior numero di ostaggi (oltre 200) sia di evitare la coincidenza dell’ingresso a Gaza con le frequenti visite a Tel Aviv di leader occidentali. Non è da escludere, infine, che l’avvio dell’operazione sia funzionale allo schieramento dei sistemi missilistici preannunciati dagli USA nella Regione in previsione di un possibile allargamento del conflitto che coinvolga anche Hezbollah e l’Iran».

Cosa troverà l’Idf nella Striscia di Gaza?

«Israele conosce bene l’organizzazione difensiva di Hamas nella Striscia, che ha potuto aggiornare in queste ultime settimane, in quanto l’Idf ha già condotto negli ultimi anni almeno sei operazioni in Gaza: l’ultimo nel 2021. I militari sono consapevoli, sulla base delle precedenti esperienze (e della battaglia urbana di Jenin nel 2002), d’incontrare una strenua resistenza condotta da un avversario sfuggente, privo di remore, che cercherà di colpire all’improvviso, rifiutando lo scontro diretto, e si baserà su imboscate, attacchi alle spalle usufruendo della vasta rete di tunnel presenti, trappole esplosive e sull’utilizzo della popolazione civile come ‘scudo’ protettivo al fuoco israeliano. Qualora abbia luogo, sarà un intervento lungo (alcune fonti riportano che gli israeliani hanno iniziato a distribuire gli equipaggiamenti invernali) e ‘senza quartiere’ con la possibilità di forti perdite da ambo le parti».

Tutto questo tempo che è trascorso non avvantaggia Hamas?

«Hamas può trarre sicuramente un vantaggio da questo ‘rinvio’ dell’operazione sia per le pressioni internazionali su Israele, provenienti da più parti, per evitare l’intervento con il richiamo al rispetto del Diritto Internazionale Umanitario per la presenza dei civili, sia per la possibilità di rafforzare ulteriormente il proprio dispositivo di difesa, anche se questa formazione terroristica si sarà già premunita per tempo, aspettandosi la reazione israeliana alle sanguinose incursioni del 7 ottobre scorso».

Intanto più passano i giorni e più emergono le dirette responsabilità dell’Iran. Il Wall Street Journal in suo approfondimento racconta di come circa 500 militanti di Hamas e di un gruppo alleato, la Jihad islamica palestinese, hanno partecipato alle esercitazioni del settembre scorso, guidate da ufficiali della Forza Quds, il braccio per le operazioni estere del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane alla presenza generale Esmail Qaani, capo della Forza Quds. Gli uomini di Hamas hanno utilizzato droni aerei per disabilitare i posti di osservazione israeliani e le apparecchiature di sorveglianza ad alta tecnologia. Alcuni hanno usato il parapendio per volare in Israele. Altri viaggiavano in motociclette, comunemente usate dai gruppi paramilitari iraniani ma non da Hamas fino al 7 ottobre. Il Wall Street Journal, citando alti funzionari di Hamas e Hezbollah, ha riferito che la Forza Quds ha contribuito a pianificare l'attacco e ha concordato che potrebbe andare avanti dopo i recenti incontri avvenuti Beirut (Libano) con i leader di Hamas e Hezbollah. Un consigliere del Governo siriano e un funzionario europeo hanno fornito lo stesso resoconto del coinvolgimento dell'Iran.

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Stefano Piazza