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(Ansa)
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Un mese di guerra andato male per Putin che per questo potrebbe usare armi chimiche

Il bilancio bellico dall'inizio dell'invasione per Mosca è molto al di sotto delle attese e questo potrebbe portare ad una tregua o all'uso di armi sempre più letali

A un mese dall'inizio degli scontri tra truppe russe e ucraine l'esercito di Mosca ha conquistato diversi territori di confine, soprattutto a est, nord e sud del Paese, ma sembra molto lontano dal riuscire ad assestare i colpi decisivi per spingere alla resa il governo Zelensky, non riuscendo a penetrare il territorio avversario con la progressione che si aspettava. Tra i centri stabilmente in mani russe c'è Kherson, mentre a nord le forze ucraine resistono impedendo l'avanzata nel cuore di Kiev. L'aviazione ucraina è stata quasi neutralizzata, ma resta importante l'impiego di droni, continuo e agevolato anche per la relativa facilità con la quale essi vengono realizzati e impiegati, potendo decollare anche da rettilinei stradali e non necessitando per forza di piste aeroportuali, quasi tutte bombardate. Sacche di resistenza sono attive a Mariupol, mentre Mykolaiv ha fatto da bastione in difesa di Odessa.

Un fattore non trascurabile a vantaggio di Kiev è che gli attuali alti ufficiali dell'esercito sono coetanei e conoscitori delle loro controparti russe, poiché le loro carriere sono cominciate trent'anni fa mentre l'Urss si disgregava. Ma gli ucraini, formati come sovietici, da una decina d'anni sono stati addestrati e aggiornati secondo standard della Nato da istruttori occidentali, e così i loro subalterni. Un grande vantaggio strategico che si sta rivelando efficace. C'è poi il problema della primavera in arrivo, l'incubo dei tedeschi nella seconda guerra mondiale: il disgelo del terreno crea fango e questo impedisce l'avanzata dei carri armati, costringe a riorganizzare i convogli con i rifornimenti, ma soprattutto espone le forze russe al tiro delle armi leggere e dei lanciatori portatili.

Il fronte est, soprattutto la zona a oriente del fiume Dniepr, come lo Stato maggiore ucraino aveva previsto, è stato l'unico a dare segnali di cedimento lasciando ai russi vaste porzioni di territorio, poiché le forze di Zelensky sono accerchiate dall'esercito regolare di Putin ma anche dai separatisti filorussi. Ma è nelle zone più urbanizzate che i russi perdono uomini e mezzi, affidando i loro attacchi alle batterie missilistiche più che alla fanteria, ma anche queste devono essere rifornite e la conseguenza di questa situazione è che Mosca sta richiamando forze fresche dall'estremo oriente russo per sostenere quelle d'invasione. In arrivo via mare, come i satelliti occidentali hanno segnalato - e i giapponesi immediatamente confermato. Il 18 marzo sono partite la 155° Brigata di Fanteria navale russa dalla città portuale di Vladivostok, e la 40° Brigata di Fanteria navale da Petropavlovsk-Kamchatsky, nella penisola della Kamchakta. Entrambe presumibilmente a Vladivostok, dove potrebbero essere immediatamente caricate sui treni militari diretti a ovest.

Difficile stimare le perdite russe, se fosse vero come dice Mosca che dei 190.000 soldati schierati il 24 febbraio, ne sono stati uccisi 498 e altri 1.500 sono rimasti feriti dopo soli 10 giorni di combattimenti, allora è ipotizzabile che, stante l'allargamento dei fronti, ad oggi il numero sia vicino a 3.000 morti e 15.000 feriti (fonte Jane's). Un disastro dal punto di vista militare se messo in relazione con la porzione di territorio ucraino conquistato in modo stabile, ovvero laddove non sono più presenti sacche di resistenza. Anche perché sull'esatto numero c'è il segreto di Stato e non è permesso neppure porre domande, tanto che quasi tutte le testate giornalistiche russe hanno smesso di riferire sul bilancio delle vittime della “operazione militare speciale”, poiché la censura ha vietato qualsiasi discussione che definisca il conflitto una guerra oppure un'invasione. Ma se questi numeri fossero vicini alla realtà, allora per Mosca si tratterebbe di perdite superiori anche a quelle della guerra in Cecenia.

Lunedì 21 marzo il tabloid russo online Komsomolskaya Pravda, testata pro-Cremlino, ha pubblicato che secondo i dati del ministero della Difesa russo sono stati finora uccisi 9.861 soldati e 16.153 sono stati feriti. E come i giornali occidentali hanno riportato, questo articolo è stato rimosso dopo pochi minuti. Per stimare numeri in modo realistico si sta guardando anche a fonti provenienti dagli ospedali bielorussi, come ha riferito martedì Radio Free Europe, agenzia di stampa finanziata dagli Usa, che dall'Istituto di sanità nazionale è venuta a sapere che sono stati rimpatriati in Russia oltre 2.500 cadaveri di soldati dal 13 al 22 marzo.

Dall'altra parte della barricata, secondo le fonti ufficiali ucraine, finora avrebbero perso la vita 1.400 combattenti di Kiev (tra soldati regolari e miliziani arruolati e riserve) e altri 12.000 sarebbero stati feriti. mentre i morti russi sarebbero superiori alle 15 mila unità. Ma anche in questo caso è molto difficile prendere i numeri per affidabili.

Ora con l'arrivo delle armi occidentali da ovest, attraverso la frontiera polacca, è facile immaginare che gli scontri tra unità russe paracadutate nelle retrovie ucraine e difensori della nazione porteranno a scenari a macchia di leopardo, mentre i due fronti russi, da nord e da sud, cercheranno di consolidare il loro incontro per tagliare in due il Paese. Un piano che era previsto fin dall'inizio, ma che si è scontrato con la preparazione (per mano occidentale) dell'esercito di Kiev. Riconoscendo che non sono in grado di superare la resistenza ucraina, le forze russe non potranno che desistere o aumentarne l’intensità dei loro attacchi. Ma la seconda opzione per Putin è l'ennesima scommessa, poiché lo sforzo bellico si tradurrà in aumento dei costi della guerra in termini di vite umane e di risorse, fino a quando i pochi risultati ottenuti non saranno più giustificabili. E seppure questo possa essere oggi uno scenario improbabile, in quel caso assisteremmo alla fine del potere (o della vita) di Vladimir Putin.

Potrebbe accadere anche che egli accetti una sconfitta mascherata da tregua, in questo caso però dicendo addio a buona parte degli obiettivi che si era posto, ma lo farebbe soltanto se vedesse garantita la sua incolumità, condizione che oggi avverrebbe forse in Cina, Corea e in taluni Stati dell'America latina. L'opzione “vittoria russa” al momento non si può considerare, stante che il pericolo di allargamento del conflitto è ancora molto alto, ma proprio per questo l'idea che la resistenza ucraina possa avere il sopravvento potrebbe spingere i russi a usare armi più potenti con lo scopo di ottenere una resa immediata (come gli Usa con il Giappone nel 1945, con l'uso dell'atomica). E sarebbe una follia.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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