Gaza
(Ansa)
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Perché c'è tregua a Gaza e in Ucraina no

Gli Usa, definiti da alcuni dei «guerrafondai» per le armi a Kiev, sono gli artefici della pace momentanea a Gaza. Ci hanno provato anche con Putin, ma...

Nonostante le molte difficoltà ieri Israele e Hamas hanno prolungato di ulteriori due giorni la tregua e il relativo scambio di ostaggi israeliani con criminali palestinesi. Per Israele questa è una prova durissima perché per riavere degli innocenti deve liberare persone che nella maggioranza dei casi sono organici ad Hamas. Come abbiamo già raccontato in un precedente approfondimento, gli Stati Uniti per raggiungere l'obiettivo hanno lavorato molto coinvolgendo l’Egitto e mettendo alle strette il Qatar, protettore e finanziatore dei gruppi jihadisti palestinesi è protagonista delle trattative in questa fase. Ma nessuno si illuda, a Doha non hanno certo intenzione di scaricare Hamas (almeno per il momento), tanto che stamane il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani intervistato dal Financial Times, ha dichiarato: «C’è una grande delusione nella regione per la reazione dell’Occidente. Sì, siamo d’accordo che quello accaduto il 7 ottobre è stato un attacco orribile e condanniamo l’uccisione di civili. Ma ci aspettavamo che l’uccisione del popolo palestinese fosse qualcosa che l’Occidente avrebbe condannato. Le vite delle persone sono le vite degli esseri umani, siano essi palestinesi, israeliani, ucraini o russi, o chiunque altro. Quello che ci aspettiamo almeno è che l’Occidente si attenga agli stessi standard, agli stessi principi a cui si è opposto in altre guerre».

Un supporto incrollabile quello di Doha alla Fratellanza musulmana alla quale appartengono i gruppi terroristici coinvolti in questa guerra voluta dall’Iran sciita, a sua volta finanziatore e ispiratore di Hamas e della Jihad islamica. Gli Stati Uniti per espressa volontà del presidente Joe Biden e del Segretario di Stato Antony Blinken hanno messo in campo tutta la loro capacità diplomatica prima per evitare l’allargamento del conflitto ad altri Paesi arabi -l’Arabia Saudita del principe Mohammed Bin Salman ha giocato un ruolo fondamentale- e poi per obbligare le parti a trovare l’intesa almeno per una tregua. Come e quando finirà questa guerra oggi è difficile prevederlo; tuttavia, c’è la certezza che gli israeliani non si fermeranno fino a quando i gruppi jihadisti della Striscia di Gaza non verranno completamente distrutti e su questo gli Stati Uniti concordano. La guerra scoppiata in Medio Oriente dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 ha mostrato come gli Stati Uniti abbiano cambiato postura di fronte alle crisi internazionali facendo pesare più la loro capacità diplomatica piuttosto che le armi e gli uomini sul terreno. Una tendenza iniziata con Donald Trump che aldilà delle molte stranezze e degli errori commessi durante il mandato presidenziale (e dopo) ha legato il proprio nome ai Patti di Abramo del 2020 ai quali poco prima dell’attacco del 7 ottobre stava per aderire anche l’Arabia Saudita. Come sappiamo un Medio Oriente pacificato è l’incubo degli ayatollah di Teheran che preferiscono a questo scenario il caos e le guerre e da qui l’ordine alle milizie jihadiste di Gaza di entrare in azione. L’America quindi se occorre sa anche trattare, cosa che i cinesi non hanno voluto fare dato che sulla partita ucraina hanno scelto di supportare anche indirettamente i russi con il loro «ragazzaccio» Kim Jong-un. Discorso diverso invece per gli iraniani coinvolti direttamente nel conflitto a fianco dei russi che riforniscono di droni (con componenti cinesi) e munizioni.

La guerra di Gaza è arrivata dopo la guerra scoppiata con l’invasione russa dell’Ucraina che ormai dura da due anni nella quale la diplomazia ha completamente fallito. Ci hanno provato più volte gli americani (in tal senso non si contano più le missioni segrete), l’Unione Europea, l’Onu (per quanto screditato sia), ma i russi non intendono fermare l’invasione ritirandosi, così come gli ucraini (ovviamente) non intendono rinunciare alla difesa del Paese e al contrattacco. Ma perché qui il conflitto si è cristallizzato tanto che non si vede la fine? Innanzitutto perché l’invasore, la Russia di Vladimir Putin, non accetta che le proprie ed inaccettabili condizioni ovvero tenersi tutto ciò che ha rubato agli ucraini, vengano accettate dalla comunità internazionale come «conquiste legittime». Impossibile giunti fin qui discutere o pensare di poter trattare con un uomo come Vladimir Putin che non accetta certo di rivedere una sua decisione anche perché attorniato da uomini che con lui hanno saccheggiato le risorse nazionali e che gli devono tutto. Il patto si sintetizza così: «Voi rubate con me e grazie a me e diventate ricchi mentre io faccio quello che voglio e voi obbedite». Nessuna mediazione e chi sgarra prima o poi muore come visto con la vicenda del capo della Compagnia militare privata Wagner Yevgheny Prigozhin, morto lo scorso 23 agosto a seguito di un’esplosione a bordo del suo aereo. Cercare altre spiegazioni è del tutto inutile anche perché tutte le strutture dello Stato russo sono costruite sulla corruzione, sulla violenza, sull’abuso di potere e sulla negazione di qualsiasi libertà. Putin comanda e gli altri eseguono e dentro questo ci si arricchisce mentre la popolazione sta sempre peggio. Non ci sono corpi intermedi dello Stato che possono cambiare la situazione perché la Russia di Putin è stata plasmata così e, a meno di una morte improvvisa di Putin, nulla cambierà. Inutili anche i ragionamenti che terminano con «però anche Zelensky dovrebbe trattare». Su cosa? Una mattina ti bombardano il Paese, per due anni ti entrano in casa, ti stuprano moglie e figli li ammazzano e li buttano in una fossa comune, infine ti rubano tutto quello che hai e tu devi fare la pace e accettare che le tue terre diventino di chi te le ha rubate? È questo quello che vogliono i cosiddetti «pacifinti», una serie di personaggi cinici, giornalisti falliti, comici in declino, biechi opportunisti che campeggiano da anni sulle tv nazionali e purtroppo anche nel dibattito politico e che non a caso oggi stanno con i jihadisti di Hamas -vedi i cosiddetti «rosso-bruni», un coacervo di vecchi politici in disarmo e con qualche condanna da scontare, accompagnati da qualche saltimbanco, che oggi provano a riemergere dall’oblio dove erano stati giustamente confinati. Dicevamo di Russia e Ucraina e chiediamo un parere al Generale di Corpo d’Armata Giorgio Battisti che ci ha accompagnato più volte durante le varie crisi. Perché Russia e Ucraina in quasi due anni di guerra non hanno mai concordato una tregua? «Sia il Presidente Zelensky sia il Presidente Putin in questi 20 mesi di sanguinoso conflitto hanno più volte proposto un ‘cessate il fuoco’ che dovrebbe (o doveva) essere ottenuto con l’accoglimento delle rispettive pre-condizioni completamente opposte e divergenti. Zelensky esige(va) il ritiro di Mosca da tutto il territorio ucraino (Crimea compresa), il ritorno dei civili ‘portati’ forzosamente in Russia e l’incriminazione di Putin per crimini di guerra. Putin, a sua volta, pretende(va) il riconoscimento internazionale dell’annessione della Crimea e dell’intero Donbass, oltre all’assicurazione che Kiev non sarebbe mai entrata nella NATO, assumendo lo status di Paese neutrale. In sostanza due posizioni che allo stato attuale non offrono minimi spunti per una soluzione diplomatica del conflitto».

A che punto è la guerra in Ucraina?

«Il conflitto, come lo scorso anno, ha subito un rallentamento nei ritmi delle operazioni dovuto all’arrivo dell’inverno con abbondanti piogge e con le prime nevicate che rendono difficoltoso il movimento fuori strada dei mezzi da combattimento, specialmente quelli ruotati di cui sono equipaggiate le unità ucraine. Le condizioni meteo, tuttavia, non hanno fermato del tutto l'attività militare che si caratterizza dall’iniziativa di Mosca in diversi settori della lunga linea del fronte (oltre 1.000 km). Le forze russe continuano a condurre operazioni offensive lungo la linea Kupyansk-Svatove-Kreminna ad est, nei settori di Bakhmut e di Avdiivka a nord-est, nella zona di confine tra Donetsk e Zaporizhia e nell'Oblast di Zaporizhia occidentale a sud, senza aver ottenuto peraltro, stando a diverse fonti, significativi progressi. Questa ripresa delle azioni offensive di Mosca conferma, tuttavia, l’arresto dell’offensiva generale ucraina, iniziata a giugno scorso, che ha portato a limitati guadagni territoriali sia per le munite linee difensive avversarie sia, soprattutto, per la mancanza di supporto aereo e della difesa contraerea dei reparti attaccanti (fattore fondamentale e decisivo in ogni campagna militare). Una impasse operativa evidenziata dallo stesso Capo di Stato Maggiore della Difesa Ucraina, Valerij Fedorovyč Zalužnyj, in un contestato (dallo stesso Zelensky) documento (Modern positional warfare and how to win in it) pubblicato per The Economist il 1° novembre scorso, dove l’alto Ufficiale ha affermato che il conflitto è entrato in una fase di logoramento».

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Stefano Piazza