Quanto costa la guerra tra Israele ed Hamas?
MARCO LONGARI/AFP/Getty Images
News

Quanto costa la guerra tra Israele ed Hamas?

Proviamo a fare i conti in tasca ad Hamas e Israele e capire quanto entrambe spendono per farsi la guerra. Perché la guerra costa (e qualcuno ci guadagna) - Tutto sulla guerra

per Lookout News

A tre settimane dall’inizio del conflitto nella Striscia di Gaza, lo Stato di Israele e Hamas iniziano a fare i conti anche con le conseguenze economiche della guerra. 

Secondo studi economici israeliani, le spese dell’operazione militare a Gaza avrebbero già superato i 3 miliardi di dollari. I costi più alti derivano dall’utilizzo di caccia ed elicotteri e dal richiamo al fronte dei soldati riservisti, ma soprattutto dall’uso del sistema missilistico di difesa Iron Dome

La “cupola di ferro”, realizzata dalle aziende israeliane Elta e Rafael, è costata 5 miliardi dollari, parte dei quali sono stati finanziati dal governo americano (310 milioni di dollari già versati, più altri 621 per i prossimi tre anni secondo il New York Times). Arma di difesa sofisticatissima, il problema di Iron Dome è legato alle spese di gestione: il lancio di ogni missile intercettore Tamir vale infatti tra i 30.000 e i 50.000 dollari, un’enormità rispetto ai circa 800 dollari che servono ad Hamas per assemblare in casa i propri razzi Qassam.

Ci sono poi circa 1,3 miliardi di dollari spesi dalla Difesa israeliana nel 2013 per preparare l’esercito a un’eventuale nuova operazione militare. Soldi che sono stati spesi per la formazione di migliaia di truppe di terra, per acquistare blindati e per l’ammodernamento dell’artiglieria. In questo computo, non rientrano gli altri miliardi di shekel (la proporzione è 1 euro = 4,6 shekel) spesi per lo sviluppo tecnologico del proprio arsenale e per garantire la massima connessione tra i vari comparti dell’esercito. Un processo di digitalizzazione esteso che va dalla trasmissione in tempo reale alle truppe di terra delle fotografie scattate dall’alto dai droni, alla comunicazione audio e visiva tra i comandanti dei reggimenti di terra e i piloti dei caccia. 

- I conti in tasca ad Hamas 

Cifre alla mano, la sproporzione del confronto militare tra Israele e Hamas appare più che evidente. Secondo il sito d’intelligence israelianoDebkafileHamas nell’ultimo anno e mezzo è riuscito a rafforzare in maniera rilevante soprattutto le proprie capacità militari, come dimostra l’utilizzo di razzi M-302 Khaibar, assemblati in Siria ma di produzione cinese, arrivati a Gaza dall’Iran passando dal Sudan e dall’Egitto. 

Si tratta degli stessi razzi utilizzati anche dal movimento libanese sciita Hezbollah durante l’offensiva contro Israele dell’estate 2006, in grado di trasportare 175 chili di esplosivo e capaci di coprire una gittata di 150 chilometri. Recentemente, questi vettori avrebbero subito anche delle evoluzioni nelle officine palestinesi, grazie ai miglioramenti apportati già dagli ingegneri di Hezbollah ai sistemi propulsivi. Il risultato sono i nuovi razzi R-160 (chiamati così in onore del leader di Hamas Abdel Aziz Rantisi, ucciso nel 2004 da un raid aereo israeliano), potenzialmente in grado di sfondare la barriera dei 150 chilometri. 

Hamas continua a non avere una forza aerea ma, allo stato attuale, oltre che su questi razzi può contare anche sui razzi Grad (di progettazione russa e simili ai Katyusha) e sui Fajr-5 (di fabbricazione iraniana). E sui droni, di cui ha dato sfoggio nei primi giorni delle incursioni aeree di Israele, subito abbatuti e probabilmente già esauriti.

Insomma, i tempi dei Qassam sono ormai definitivamente superati. Fatti in casa utilizzando tubi in acciaio, ghisa e alluminio, su questi razzi inizialmente venivano caricate testate pesanti solo qualche chilo, fabbricati alla bene meglio e imbottiti di esplosivo e schegge di metallo, mentre per la propulsione veniva utilizzato un mix di zucchero e fertilizzanti. Questo materiale - che arriva senza esclusione dal contrabbando nei tunnel sotterranei che collegano la Striscia all’Egitto - ha un prezzo totale che oscilla tra gli 800 e i 1.000 dollari, a cui va aggiunto il costo della precarie impalcature da cui vengono effettuati i lanci.  

- Le alleanza di Hamas

Nonostante le aperture c’è chi teme che, al netto delle centinaia di morti in Palestina, il Movimento Islamico di Resistenza continuerà a portare avanti la sua strategia di attacco. “Hamas - spiega l’analista Firas Abi Ali - ha calcolato che, intensificando i lanci e variando la gamma dei suoi razzi può creare un danno economico significativo a Israele, paralizzando le attività commerciali nei porti e negli aeroporti, e stroncare la stagione turistica estiva di Israele. Tutto ciò, dal punto di vista di Hamas, compensa i danni materiali inflitti alla società palestinese (distruzione di case, scuole, ospedali ed esercizi commerciali,ndr) e le centinaia di vittime tra miliziani e civili”.

Hamas starebbe inoltre usando questa guerra per raccogliere nuovi finanziamenti tra i Paesi “nemici” di Israele e superare così la grave crisi economica creata dal raffreddamento dei rapporti con l’Iran e con l’Egitto, in particolare dopo l’estromissione dal potere dei Fratelli Musulmani. 

“Con questa battaglia - spiega Adnan Abu Amar, professore dell’Università Uma di Gaza aReuters- Hamas punta a rilanciare le relazioni con le potenze regionali amiche, a cominciare dall’Iran e dalla Turchia, dove molti sostengono la causa palestinese”. I rapporti con Teheran si erano raffreddati dopo che Hamas nel 2011 aveva rifiutato di sostenere il loro alleato sciita Bashar Assad nella lotta contro i ribelli sunniti in Siria. Sino ad allora, Hamas aveva potuto contare su un finanziamento annuale di 250 milioni di dollari da parte dell’Iran. 

- I costi sociali del conflitto

Sul piano prettamente economico e sociale, non sono solo i territori palestinesi a pagare le conseguenze di questo conflitto, come invece lascia intendere una buona parte dei media internazionali. Oltre alle ingenti spese militari, Israele sta infatti facendo i conti con una serie di spese collegate all’attivazione dei piani di emergenza per la messa in sicurezza delle popolazioni delle regioni meridionali del Paese, quelle più bersagliate dai razzi di Hamas. Solo su questo versante sono stati già spesi dal governo israeliano circa 400 milioni di shekel.

Tuttavia, la perdita più grave è legata al calo del PIL nazionale, in quanto i consumi in queste tre settimane si sono praticamente dimezzati nel sud del Paese. In città come Ashdod, Ashkelon e Sderot, le vendite sono diminuite tra il 60 e il 70%, mentre nella zona intorno a Tel Aviv i consumi sono calati di un terzo. Male i trasporti pubblici (-20%) e malissimo - ovviamente - il turismo, considerato che circa il 40% del fatturato del settore si concentra proprio nella stagione estiva, che quest’anno sembrava particolarmente florida. 

Questo settore rappresenta il 7,3% dell’economia israeliana e impiega un’unità su tredici dell’intera forza lavoro. Prima della nuova crisi a Gaza, l’industria del turismo veniva da un periodo record (+17% nei primi cinque mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo del 2013). Adesso, con l’escalation del conflitto in pieno corso e con diversi governi stranieri che a intermittenza hanno imposto alle proprie compagnie il divieto di atterrare all’aeroporto di Tel Aviv, circa il 30% delle prenotazioni alberghiere sono state annullate, mentre i nuovi arrivi sono pressoché fermi allo zero. 

 Sul fronte opposto, per i territori palestinesi la situazione economica non può che divenire sempre più preoccupante ogni giorno che il conflitto va avanti. Secondo il “minstero” delle Finanze palestinese, dall’inizio del 2014 in Palestina sono arrivati in donazioni dall’estero circa 182 milioni di dollari, il 65% in meno rispetto al primo trimestre del 2013, il che ha causato una flessione della crescita del 2% (il livello più basso negli ultimi sei anni) e un aumento significativo della disoccupazione (oltre il 40% della popolazione). 

Con l’escalation del conflitto, però, gli aiuti internazionali per Gaza e West Bank sono tornati ad aumentare. In cima alla lista dei finanziatori ci sono: Arabia Saudita (53,3 milioni di dollari), Emirati Arabi Uniti (52 milioni di dollari), Stati Uniti (47 milioni di dollari) e Qatar (20 milioni di dollari). Tanti soldi - ma parliamo solo di quelli dichiarati - che potrebbero permettere alla Palestina di risollevarsi dalle macerie, ma che rischiano di non servire a nulla, fino a quando sarà Hamas a dettare legge in questa terra.

I più letti

avatar-icon

Rocco Bellantone