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Ecco come il mondo sta dichiarando guerra alla plastica

Europa capofila: entro il 2030 tutti gli imballaggi dovranno essere riutilizzati o riciclati. Previsti limiti alle microplastiche

Nella riunione plenaria del 16 gennaio 2018 al Parlamento Europeo a Strasburgo la Commissione Europea ha presentato la sua strategia per la lotta ai rifiuti plastici. Lo scopo è ridurre i 25 milioni di tonnellate l'anno di rifiuti da plastica prodotti in Europa, aumentando il ricorso al riciclo e al riuso, che oggi nel continente è solo al 30% del totale.

Il voltafaccia della Cina

Finora l'Unione esportava verso la Cina il 60% dei rifiuti di plastica e il 13% dei rifiuti di carta, chiedendo al paese asiatico di riciclarli o di bruciarli. Il problema è che il più grande riciclatore di plastica del mondo, che fino a ieri importava oltre il 70% dei rifiuti plastici provenienti dai paesi industrializzati, da gennaio ha chiuso i battenti. Da oggi in poi la Cina si concentrerà sul riciclo dei propri materiali di risulta, che sono più che sufficienti a soddisfare la domanda interna. Questo prospetta per l'Europa e l'Italia in testa, un problema enorme di smaltimento dei rifiuti plastici raccolti, perché non vi sono da noi strutture sufficienti per il riciclo rispetto alla massa di materiale da riciclare.

Secondo la Commissione occore che i cittadini europei cambino mentalità da un lato, dall'altro sarà possibile creare 200mila nuovi posti di lavoro entro il 2030 proprio nel settore del riciclo. Quanto alle microplastiche, quelle utilizzate intenzionalmente, come per esempio quelle contenute nei cosmetici, vanno verso il divieto totale, mentre occorre mettere a punto misure per ridurre quelle involontarie, come le particelle di gomma da usura dei pneumatici o i residui di poliestere e nylon rilasciati nelle acque di lavaggio. La Commissione presenterà anche proposte per ridurre l'uso di stoviglie monouso.

Nel frattempo l'Unione Europea sta pensando di introdurre una tassa sulla plastica per ridurne i consumi e anche per rientrare del buco che l'uscita del Regno Unito creerà nelle casse della UE, stimato in 12-14 miliardi di euro.

Su le tasse, giù i consumi

E' indubbio che tasse e divieti siano oggi uno strumento fondamentale per combattere l'inquinamento dovuto alla plastica: in attesa che riusarla e riciclarla diventi la prassi e sia reso più semplice fin dalla progettazione degli imballaggi, è essenziale diminuirne drasticamente i consumi e la produzione, anche con l'impiego di prodotti usa e getta biodegradabili. Con buona pace di chi ancora da noi si lamenta per i due centesimi delle borsine dell'ortofrutta.

L'ultima a esprimersi in favore di una lotta senza quartiere alla plastica era stata la premier britannica Theresa May, che pochi giorni fa aveva annunciato di voler rendere il Regno Unito "plastic free" entro il 2042. La prima ministra si è data quindi 25 anni di tempo per raggiungere l'ambizioso l'obiettivo: programma meritevole per alcuni, troppo a lungo termine per altri, primo tra tutti il leader laburista Jeremy Corbyn secondo il quale se la plastica è davvero un'emergenza come la descrive May, quella in eccesso dovrebbe essere tolta di mezzo molto prima.

Quel che è certo è che gli inglesi fanno meno storie di noi italiani quando viene loro chiesto di pagare 5 penny, l'equivalente di circa 6 centesimi, per ogni sacchetto del supermercato. L'idea che la stessa "tassa" verrà estesa a tutti i negozi, quindi, non pare preoccupare i consumatori d'Oltremanica. E sapete perché? Hanno semplicemente cominciato a usarne di meno. Secondo i dati snocciolati dalla stessa May, dall'introduzione del balzello nel 2015 sono stati usati 9 miliardi di sacchetti in meno nel paese.

Del resto le tasse sono storicamente state di grande aiuto come strumento per limitare i consumi di determinate categorie di prodotti. Funzionano sulle sigarette, basta dare un'occhiata al numero di fumatori in paesi come l'Australia dove un pacchetto costa l'equivalente di 20 euro, sulle bevande zuccherate (dove sono tassate i consumi scendono) e anche sulla plastica.

Qualche esempio? Hong Kong ha introdotto un sovrapprezzo di 50 cent per i sacchetti di plastica e il loro uso è crollato del 90%. La Danimarca ha introdotto un'imposta ai dettaglianti sulla distribuzione dei sacchetti di plastica nel 2003. I negozi hanno cominciato a fare pagare per i sacchetti i propri clienti, spingendo così all'uso di borse riutilizzabili. Si stima che questo abbia ridotto a un terzo l'uso di sacchetti di plastica e carta.

Irlanda verde in tutti i sensi

Nel 2002, l'Irlanda è diventato il primo paese a imporre una tassa (di 15 centesimi di euro) sui sacchetti di plastica. A quella data il consumo annuale di sacchetti era di 1,2 miliardi, con la "plastax" i consumatori hanno repentinamente cambiato abitudini e già dopo poche settimane i consumi sono crollati del 94%, riducendo il consumo annuale di circa 1 miliardo di sacchetti. Nel primo anno di applicazione della tassa sono stati raccolti quasi 8 milioni di euro, che hanno alimentato un fondo verde per finanziare altre iniziative ambientali. L'imposta è stata poi aumentata a 0,22 euro nel 2007.

Qualcosa di simile è avvenuto in Galles, dove la tassa di 5 penny a sacchetto introdotta nel 2011 ha tagliato del 96% i consumi entro un anno dalla sua introduzione. Sono poi molti i paesi africani che hanno introdotto un sovrapprezzo sui sacchetti, dal Kenya al Sud Africa, dalla Somalia al Botswana e molti altri ancora li hanno invece messi direttamente al bando.

Nel mondo aumentano i divieti

Il Bangladesh è un paese molto povero che va soggetto a frequenti inondazioni. Le autorità hanno però capito che la plastica costituiva un'aggravante, nel senso che tappava gli scarichi rendendo le alluvioni assai più devastanti. Così nel 2002 il paese ha introdotto un severo divieto all'uso dei sacchetti. La speranza è di rendere la capitale Dacca una "zona libera dalle inondazioni" entro i prossimi dieci anni. Stessi provvedimenti sono stati presi in India nello stesso anno per identici motivi, anche se l'applicazione del divieto resta problematica.

In Brasile i sacchetti di plastica sono vietati dal 2007, in Cina dal 2008, in Messico dal 2010 vengono multati i negozianti che distribuiscono sacchetti di plastica, in Marocco un bando totale è avvenuto a giugno del 2016. In Olanda dal gennaio dello stesso anno i sacchetti sono vietati, con l'esclusione di quelli che servono per il cibo sfuso, al fine di evitare contaminazioni, ma che devono avere un prezzo di 25 centesimi ciascuno.

Molti Stati e moltissime città degli Stati Uniti hanno introdotto bandi totali ai sacchetti di plastica. Del resto si stima che il paese impieghi 12 milioni di barili di petrolio ogni anno per soddisfare la domanda di buste di plastica: ne vengono buttate via 100 miliardi l'anno.

Riciclo da potenziare

Ogni anno nel mondo si producono 300 milioni di tonnellate di plastica, 8 o 10 dei quali finiscono in mare e vanno a formare, tra le altre cose, le mostruose isole di microplastiche che punteggiano gli oceani. La Commissione Europea vuole puntare sul riciclo per evitare che la plastica che abbiamo usato finisca in discarica da dove può poi "percolare" fino al mare, inquinare i terreni e avvelenare l'ambiente, la fauna e finirci anche nel piatto. A livello globale siamo però ancora drammaticamente lontani dagli obiettivi di riciclo totale.

Nel mondo si ricicla solo il 14% della plastica consumata. Riuscire a riciclare il restante 86% potrebbe fruttare tra gli 80 e i 120 milioni di dollari l'anno, secondo uno studio della Ellen MacArthur Foundation. Al momento gli imballaggi in plastica generano esternalità negative che una stima prudente dell'Unep calcola in 40 milioni di dollari l'anno.


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Marta Buonadonna