Che cosa c’è davvero di «censurabile» nel comportamento di Ingroia
Il procuratore di Palermo decida se indossare la toga o spogliarsene. Una volta per tutte
Non trovo che Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, sia da criticare per la sua partecipazione a manifestazioni più o meno di parte (o di partito): è un suo diritto di cittadino. Non trovo nemmeno sia censurabile la sua ripetuta manifestazione di opinioni: è, ancora, un suo diritto di cittadino. E non credo colga nel giusto nemmeno l’Associazione nazionale magistrati (l’Anm) che ieri ha censurato la sua mancata presa di distanza da chi, alla festa del Fatto quotidiano, in sua presenza contestava il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: chi sta sul palco non sempre è responsabile di quel che accade sotto.
No, quello che è criticabile nell’incessante, galoppante corsa di Ingroia verso la politica, è altro. È quel tocco di ipocrisia, che a ogni intervista gli fa premettere che lui non parla mai delle sue inchieste, e poi discetta di mafia e politica (ma su che cos’altro ha indagato, il procuratore Ingroia?); è quel suo faticoso, continuo gioco a indossare la toga e a spogliarsene, per cui ogni tanto (ma sempre quando conviene) il procuratore Ingroia da libero cittadino improvvisamente torna «uomo delle istituzioni», il che fa sì che criticarlo significhi criticare le istituzioni; è quel dire e non dire che in politica si candiderà, ma non adesso, forse, chissà, prima o poi, non ha ancora deciso, si vedrà. Ma la fine è nota. Ecco: un magistrato che da tempo fa politica impugnando un biglietto andata e ritorno: questo non è bello.