cellulare a scuola divieto
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Chi fa la guerra ai telefonini nelle scuole

Olanda e Gran Bretagna sono al lavoro per lasciare fuori gli smartphone dalle loro scuole, sfidando tempi, critiche e stereotipi, per garantire l’adeguato clima di lavoro in un ambiente di studio e di formazione come la scuola. A quando una discussione seria anche in Italia?

Il Parlamento olandese, prima dell’estate, ha messo nero su bianco che gli smartphone sono progettati per catturare e mantenere l’attenzione e quindi creano dipendenza e sono impossibili da ignorare e, alla luce di questo, ha concluso che seguire l’istruzione con uno smartphone nelle vicinanze è di fatto impossibile, per cui ha legiferato che dal 2024 i telefonini saranno esclusi dalle scuole, il tutto con l’approvazione e il sostegno dell’opinione pubblica.

In questi giorni si sta muovendo la Gran Bretagna che, citando anche il necessario contrasto al bullismo e ai comportamenti distruttivi, va verso il divieto assoluto di utilizzo dei telefonini durante l’orario scolastico. Anche negli intervalli.

E in Italia a che punto siamo? La normativa è chiara e non certo nuova: a oggi non si possono utilizzare gli smartphone a lezione, come ha ribadito con una circolare anche il ministro Giuseppe Valditara nell’ultimo inverno. Eppure l’Italia è il Paese dei don Rodrigo e del suo “della legge me ne rido” e così, nonostante norme stringenti e un campionario di sanzioni, i cellulari in aula sono presenti e bene accesi, in tasca, sotto i banchi, sul tavolo, dappertutto. E funzionano a pieno ritmo tra social, chat, foto, video e tutto ciò che, pur non consentito, consentono di fare.

Il fatto è che l’ubriacatura tecnologica in questi anni ha investito ogni ambito ed è arrivata anche nelle scuole, da varie direzioni, ma a un certo punto va chiamata con il suo nome e, conseguentemente, va gestita.

Per l’insegnamento sono state introdotte lavagne interattive, ormai un po’ dappertutto, e in questi ultimi anni sono stati sdoganati strumenti didattici online come le lezioni e gli interventi di ospiti a distanza, fino all’utilizzo di moduli e strumenti digitali di ogni tipo per condividere e trasmettere materiali. L’ultimo passo è stato l’utilizzo BYOD della tecnologia, vale a dire l’impiego della strumentazione privata per accedere a materiali utili alla lezione in aula. E così fu che per comodità i telefonini degli studenti, da vietati, trovarono posto in aula senza più possibilità di regolamentazione effettiva. Niente di male, in termini ideali, ma nella traduzione pratica sono diversi gli elementi che non funzionano.

In primo luogo, pur non essendo il cuore di questa riflessione, va detto che la scuola non può pensare di aggrapparsi alla strumentazione privata dello studente per un insegnamento che accolga gli strumenti digitali, anche solo semplicemente perché questo genera diseguaglianza.

Poi c’è il tema dell’uso del cellulare. La scuola può educare a un utilizzo consapevole, e in questo potrà fare molta strada, ma tutto ciò avrà efficacia se e solo se ci sarà collaborazione a casa e in più in generale nella società in cui la scuola è immersa. Non si educa all’utilizzo consapevole con lezioni frontali, con esempi da manuale e video che mostrano fattacci di vario tipo, con statistiche relative all’impoverimento culturale senza nessun comportamento virtuoso alla prova dei fatti. Se la battaglia si combatte solo in aula, con un ciclo di lezioni, sarà l’ennesima predicazione nel deserto dello specialista di turno che, con minore o maggiore fortuna, non troverà consenso se non in quei pochi studenti già liberi dalla dipendenza dallo smartphone.

Oltre all’educazione, poi, c’è il tema da cui siamo partiti, vale a dire i divieti. Già si sentono quelli che diranno che non si educa con le sanzioni, che vietare non risolve. C’è del vero, certo, ma è proprio l’Olanda a rispondere nel merito con le poche righe di sintesi che ha approvato a giugno: se serve concentrazione, bisogna non avere in mano il telefonino. E’ un dato oggettivo, nudo e crudo, da accogliere e condividere per iniziare qualsiasi discorso educativo e di educazione all’utilizzo. E’ così al volante, per cui ci sono educazione e sanzioni previste, e così deve essere a scuola, dove devono procedere di pari passo educazione e divieto. Non è una guerra alla tecnologia, non si tratta di essere l’ultimo luddista, ma c’entra il benessere dell’attuale generazione di adolescenti, nostri alunni, figli e nipoti, tutti dipendenti dai telefonini che hanno in tasca perché dipendenti siamo anche noi che glieli diamo in mano quando sono ancora piccini, e poi glieli compriamo, e poi li abbiamo sempre in mano, ma che non ci va bene se li hanno in mano loro.

Servono coraggio e coerenza. Il coraggio per formare, investendo parecchio, e quello di vietare dove e quando serve; la coerenza di condividerne la pericolosità ed essere, come genitori, educatori, cittadini e anche elettori sensibili al tema ed esempi virtuosi.

E’ una battaglia decisiva per la scuola di oggi e di domani, quindi per le generazioni, il loro tessuto relazionale, la loro capacità di concentrazione e la trasmissione della cultura di oggi e di domani.

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Marcello Bramati