juventus plusvalenze penalizzazione processo figc motivazioni documento ricorso appello
Getty Images
Calcio

Plusvalenze Juventus: le motivazioni della penalizzazione [DOCUMENTO]

Pubblicato il documento che spiega le ragioni della stangata ai bianconeri (-15) e ai loro dirigenti, mentre tutti gli altri sono stati assolti. Ora i legali avranno un mese per il ricorso al Collegio di Garanzia del Coni - PLUSVALENZE, JUVENTUS STANGATA

La Corte d'Appello della Federcalcio ha pubblicato le motivazioni della sentenza con cui ha condannato la Juventus a una penalizzazione di 15 punti nel processo bis sulle plusvalenze, che si era chiuso con la doppia assoluzione per tutti la scorsa primavera e che è stato riaperto per volontà della Procura Figc dopo la lettura delle carte dell'inchiesta Prisma della Procura di Torino. I giudici hanno così spiegato il percorso logico che ha portato ad accogliere il ricorso per revocazione delle sentenze andate in giudicato (applicando l'articolo 63 del Codice di Giustizia Sportiva) e poi a separare i destini della Juventus e dei suoi dirigenti da quelli degli altri 8 club (e relativi tesserati) coinvolti.

IL DOCUMENTO

MOTIVAZIONI SENTENZA JUVENTUS PLUSVALENZE.pdf

Fatti nuovi e non conosciuti, che avrebbero portato la Corte Figc a una diversa determinazione nei primi due processi, quelli chiusi con la doppia assoluzione per la Juventus e per gli altri club chiamati a giudizio per le plusvalenze sospette. E la certezza acquisita, leggendo le carte riversate sulla giustizia sportiva dall’inchiesta Prisma di Torino, che il club bianconero si è reso responsabile di illecito sportivo violando sia l’articolo 4 del Codice di Giustizia sportiva (quello sulla slealtà), sia il 31 (riferito agli illeciti amministrativi) a differenza delle altre società coinvolte per le quali non si è maturata evidenza che i comportamenti sospetti siano stati illeciti e, soprattutto, abbiano risposto alla necessità di creare un sistema di elusione delle norme federali. In 36 pagine di motivazioni la Corte d’Appello Figc spiega così la sentenza che ha stangato la Juventus (-15 punti) e i suoi dirigenti assolvendo tutti gli altri, una volta ottenuta la riapertura del procedimento e la revoca della doppia sentenza di assoluzione. Una ricostruzione durissima, che giustifica anche la scelta dei giudici di andare oltre le richieste della Procura federale guidata da Giuseppe Chiné. Pagine sulle quali la Juventus lavorerà in funzione del ricorso al Collegio di Garanzia del Coni (peraltro più volte evocato dalla stessa Corte quasi ad anticiparne il futuro giudizio di legittimità), ultimo grado all’interno dell’ordinamento sportivo prima di eventuali uscite al Tar del Lazio e al Consiglio di Stato.

PERCHE’ IL PROCESSO E’ STATO RIAPERTO

“E’ indiscutibile che il quadro fattuale determinato dalla documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Torino… ove conosciuto avrebbe determinato per certo una diversa decisione” scrivono i giudizi, con riferimento a quella che viene definita una “impressionante mole di documentazione probatoria” tale da giustifica la revocazione del giudizio di primo e secondo grado.

Nessuno spazio alle contestazioni di legittimità e merito della Juventus e, in alcuni casi, delle altre ricorrenti. Secondo la Corte le eccezioni di ammissibilità non sono state recepite perché infondate a partire dal “Ne bis in idem” più volte richiamato dai legali bianconeri. Anzi, una volta determinata la riapertura del processo sportivo i giudici possono estendere il proprio giudizio andando anche oltre le contestazioni originarie. Nel caso della Juventus, si legge a pagina 21 delle motivazioni, “il fatto nuovo che prima non era noto è proprio l’avvenuto disvelamento della intenzionalità sottostante all’alterazione delle operazioni di trasferimento e dei relativi valori”. Un vero e proprio sistema di alterazione dei bilanci e, di conseguenza, di manipolazione anche del risultato sportivo che i giudici hanno riscontrato nella lettura di intercettazioni e documenti contenute nelle 14mila pagina dell’inchiesta di Torino.

QUALI PROVE SONO STATE CONSIDERATE DECISIVE

La Corte ha sposato in pieno le tesi della Procura federale considerando la mole di intercettazioni e documenti (soprattutto le prime) come prove di “natura essenzialmente confessoria” con l’aggravante della “pervasività ad ogni livello della consapevolezza della artificiosità del modus operandi della società stessa”. La prova regina è stata considerata il cosiddetto ‘Libro nero di FP’ scritto di suo pugno da Federico Cherubini e contenente contestazioni al metodo di operare di Fabio Paratici: “Il mancato disconoscimento del documento e la mancata presa di distanza da esso della FC Juventus – si legge – a prescindere da ogni ulteriore rilevanza ha una portata devastante sul piano della lealtà sportiva”. E poi le intercettazioni tra dirigenti a vari livelli, anche apicali, partendo dalla telefonata tra Andrea Agnelli e John Elkann.

I giudici hanno ritenuto provato un sistema per nascondere la reale natura delle operazioni a specchio in modo da non farle ricadere sotto la fattispecie della “compensazione” che avrebbe azzerato gli effetti a bilancio per una società quotata in Borsa. Tra le prove, anche le fatture “corrette a penna” e rispedite al Marsiglia perché fossero riscritte omettendo la compensazione nello scambio Aké/Tyonga. Per questo viene fatta una distinzione tra le plusvalenze realizzate con club italiani, senza alcun passaggio di denaro, e quelli che coinvolgo società estere dove la camera di compensazione in Lega non interviene.

In sintesi, le assoluzioni nascevano dalla presa d’atto che non esiste un metodo certificato di valutare i calciatori e così è ancora; la Juventus, però, secondo la Corte d’Appello della Federcalcio è stata colpevole di aver perseguito l’alterazione dei propri bilanci (“Semplicemente non sono attendibili” si legge a pagina 31) in una gestione in cui la valutazione del prezzo d’acquisto di un cartellino era prodotto del lavoro di diverse aree del club mentre per la cessione non esisteva un processo interno certificato ma tutto era demandato al giudizio del direttore sportivo.

PERCHE’ LA JUVENTUS SI’ E LE ALTRE NO

Nelle motivazioni ci sono due passaggi che argomentano la ragione per cui il destino della Juventus è stato separato da quello delle altre società chiamate a processo. La posizione delle quali rimane “sospetta” senza, però, che sia maturata la certezza di un comportamento illecito e soprattutto nella considerazione che a nessuna di loro può essere imputato un sistema organizzato di falsificazione dei bilanci essendo contestata una sola operazione tra quelle oggetto del deferimento. Troppo poco, insomma, anche se né la Procura Figc né i giudici (e lo scrivono a pagina 29) si sono operati per verificare se anche la controparte rispetto ai bianconeri abbia o no ricavato una plusvalenza artificiosa nelle operazioni prese in esame.

L’altro passaggio è quello che spiega perché, più che le plusvalenze in sé, nel mirino sia finito il comportamento “sleale” della Juventus: “Scopo del processo sportivo non è giungere a una determinazione numerica esatta dell’ammontare delle plusvalenze fittizie, bensì individuare se un fenomeno di tale natura vi sia effettivamente stato… e se possa essere considerato sistemico” (pagina 31). Nel caso Juventus la risposta dei giudici è sì e per questo “il comportamento integra l’illecito disciplinare sportivo”. E non conta nemmeno che l’articolo 4, quello sulla slealtà, sia difficile da inquadrare nei suoi confini o possa sussistere anche in assenza di una vera e propria norma violata: “Appaiono interpretare l’essenza stessa dell’ordinamento al punto che la loro violazione si traduce nella negazione stessa dei fini cui è rivolta l’attività sportiva”. Lo dice il Collegio di Garanzia del Coni che viene citato. Lo stesso collegio cui la Juventus si appella ora.

PERCHE’ LA PENALIZZAZIONE DI 15 PUNTI

La Corte d’Appello spiega di essere andata oltre le richieste del procuratore Chiné anche tenendo conto di alcuni precedenti. Non solo: “Quanto alla sanzione, essa deve tenere conto della particolare gravità e della natura ripetuta e prolungata della violazione che il quadro probatorio emerso è in grado di dimostrare”. Nel caso della Juventus, spiegano i giudici, sono gli stessi dirigenti che la definiscono “brutta” e che prendono come riferimento addirittura lo scandalo Calciopoli che portò nel 2006 alla retrocessione in Serie B.

I 9 punti chiesti dalla Procura, dunque, non erano sufficienti a ristabilire l’integrità della competizione sportiva: “Una sanzione deve essere proporzionata anche all’inevitabile alterazione del risultato sportivo che ne è conseguito, tentando di rimediare ad una tale alterazione” (pagina 34). Da qui la stangata.

I più letti

avatar-icon

Giovanni Capuano