Cari politici, vi scrivo
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Cari politici, vi scrivo

L'indignazione di un italiano di fronte al collasso politico e morale di questo malandato Paese. Lo speciale - La diretta

 

Sono un italiano e vorrei scrivere una lettera per dire “cari politici, il vostro bene non è il mio”.

Volete rifare il governo? Tenere in vita questo? Be’, Not in my name, mi verrebbe da dire, se non fosse che Grillo ne ha quasi il copyright.

Vorrei scrivere una lettera. La lettera di un italiano. Mi piace scrivere lettere, non mi resta molto da fare. È notte e mi sono sparato nelle vene l’ultima maratona televisiva tra Ballarò ePorta a Porta, con partecipazione di politici di destra che erano di sinistra e di sinistra che erano di destra, di ministri dimissionari felici di vedere respinte le loro dimissioni (e non le ripresenteranno) e, ancora, di “diversamente berlusconiani” e, infine, di “democratici” che a sorpresa annuivano e elogiavano, ricambiati, quelli che fino al giorno prima erano loro avversari. Ho visto imprenditori, quelli che in tutti i programmi si assumono la parte di dire la verità, e cioè che l’Italia è sprofondata nelle paludi della burocrazia, dello statalismo e dei privilegi di casta (ma davvero gli imprenditori possono tutti lanciare la prima pietra?).

Vorrei scrivere una lettera, la lettera di un italiano deluso, come (quasi) tutti gli italiani. E sconfortato. Ma, confesso, non saprei a chi indirizzarla. Non al presidente del Consiglio, Enrico Letta, non scelto dal popolo ma da un presidente della Repubblica anch’egli non eletto dal popolo ma solo per delega dal Parlamento, ultima spiaggia dopo il fallimento di candidature silurate in aula col volto coperto dal passamontagna, e indotto a accettare la rielezione in cambio della promessa dei politici a essere “diversamente politici” (ma poi nulla è cambiato).

Vorrei scrivere che sono circondato anch’io da giovani in cerca disperata di lavoro e di un futuro (sono il 40 per cento, ormai, ma anche il restante 60 non naviga in buone acque). Vorrei scrivere che assisto ogni giorno, per strada, sui luoghi di lavoro, negli uffici, ovunque, a scene di ordinaria e crescente violenza. L’ultima in pieno centro a Roma, un tassista che stava per venire alle mani con un autista venuto da fuori a “rubargli il lavoro”. Guerra tra lavoratori pronti a scannarsi per un pasto. E che hanno paura.

Vorrei scrivere che mi fa impressione assistere a una lotta di potere in cui gli unici accenni all’“interesse del paese” e alla “esigenza di riforme degli italiani” sono pronunciati come alibi per restare aggrappati a una poltrona da quegli stessi che si sono ben guardati, pur potendo, dal mettere mano finora a quelle stesse urgenti “riforme strutturali”.

Vorrei scrivere ma non so a chi. Non al capo dello Stato, che sembra pure lui calato nell’arena politica e che vorrebbe garantire stabilità a un paese e a un popolo che forse avrebbero bisogno di andare al voto, per scegliere da chi e come farsi governare. E che sia un voto chiaro, in cui vinca la destra o la sinistra, e in cui vincenti e perdenti avessero egualmente a cuore le sorti dell’Italia. Invece chi vedo? Angelino Alfano entrare dalla porta di servizio a Palazzo Grazioli per il “confronto finale” con Berlusconi. Vedo Enrico Letta a Palazzo Chigi preparare l’ennesimo discorso della fiducia, responsabile e di lungo respiro, avendo rinviato per sopravvivere tutte le decisioni importanti e preservato soltanto l’ordinaria amministrazione (ma per questo basterebbe un prefetto).

E, sullo sfondo, non vedo una magistratura che sia garante del bene e del male, dei diritti, del giusto e dell’ingiusto. Ma che è parte in causa, anzi è colpevole di avere ulteriormente avvelenato questo paese contaminando l’esercizio della funzione più alta che si possa immaginare in democrazia, la funzione giudiziaria, con pregiudizi e manovre. Con la piccola politica.

Vorrei poter imbucare la mia “lettera di un italiano” e avere delle risposte. Pensare che vi sia qualcuno che onestamente fosse in grado di raccogliere il mio sfogo di cittadino. Ma non saprei a quale postino raccomandarmi. Sono scettico. E stanco. E mi dico che l’unica lettera da consegnare è forse la scheda elettorale. Da poter infilare al più presto non in una buca o una cassetta, ma nell’urna di un seggio. Perché la scelta torni a me. Per avere io il diritto di sbagliare di nuovo, senza che altri pretendano di decidere al mio posto e dirmi quale sia il bene per me e per i miei figli. Bene che poi stranamente sembra coincidere sempre con il loro. Ma a parole. Perché sia chiaro: il vostro bene non è il mio!

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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