Berlusconi, un leader nel mirino
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Berlusconi, un leader nel mirino

Vent’anni di successi elettorali, con qualche errore. Ma milioni di italiani continuano a fidarsi di lui. Perché Silvio Berlusconi dà voce alle loro speranze

Si può giudicare il ventennio berlusconiano (peraltro non ancora concluso) nel modo migliore o peggiore, ma un fatto è certo: Silvio Berlusconi esce imbattuto dal Parlamento ed è stato scacciato non da una sconfitta politica, ma dalla più forte pressione giudiziaria che abbia colpito chiunque nel mondo occidentale.

Berlusconi è stato candidato premier per sei volte (1994, 2001, 2008), pareggiato due (2006, 2013), perduto una (1996). Gli italiani hanno molti difetti, ma nessuno li considera un popolo di sciocchi. Prima di scacciare una volta per tutte il fantasma del Cavaliere, occorre dunque chiedersi perché esso abbia dominato la scena a lungo solo quanto era accaduto a Benito Mussolini, che peraltro dopo il primo successo elettorale del 1924 si evitò il disturbo delle repliche. Se un uomo come Mario Monti, lontanissimo da Berlusconi per formazione, mestiere e interessi, ha confessato di averlo votato nel 1994, la sinistra di derivazione comunista e cattolica deve chiedersi come mai anche tanta parte dell’intellighenzia laica fosse spaventata dall’idea che essa andasse al potere dopo che il giustizialismo strabico di Mani pulite aveva spazzato via in meno di due anni i cinque partiti che bene o male avevano governato per 50.

Il primo governo di centrodestra nacque tuttavia gracile e malformato. L’improvvisato federalismo politico (Gianfranco Fini al Sud e Umberto Bossi al Nord) non poteva funzionare. I due quasi non si parlavano, mentre i centristi di Pier Ferdinando Casini e di Clemente Mastella erano scampati intirizziti al naufragio della Dc ed erano troppo deboli per imporre una qualunque decisione. Quel biennio conteneva tuttavia i germi che si sarebbero sviluppati nel ventennio successivo: la pressione giudiziaria, partita nel novembre del ’94 con l’invito a comparire per corruzione recapitato a Berlusconi attraverso il Corriere della sera, e la militanza ostile del Quirinale. Bossi (e non solo lui) si convinse che Berlusconi sarebbe rimasto schiacciato fra le morse della micidiale tenaglia, si mise d’accordo con Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione e mangiando pane e sardine fece il ribaltone, con la complicità attiva di Oscar Luigi Scalfaro.

Il secondo miracolo di Berlusconi dopo la vittoria nel ’94 fu la sopravvivenza nella «lunga marcia nel deserto» tra il ’96 e il 2001. Un’astinenza così lunga per un partito non radicato da decenni sul territorio avrebbe stroncato chiunque. Berlusconi non solo sopravvisse, mentre le inchieste giudiziarie gli piovevano addosso a grappoli, ma si temprò, grazie anche agli errori del centrosinistra che cambiò tre presidenti del Consiglio (Romano Prodi, D’Alema, Giuliano Amato, presentando Francesco Rutelli come candidato premier nel 2001). Osteggiò vigorosamente le ricette fiscali degli avversari (memorabile la prima adunanza di massa dell’autunno ’96), fece il suo primo congresso (avvenimento purtroppo quasi irripetibile negli anni successivi), firmò la pace con Bossi, bastonato dagli elettori dopo l’annuncio di secessione, condusse nel 2000 sulla nave Azzurra la migliore campagna elettorale della sua vita, stravinse le regionali, che aveva perso rovinosamente nel ’95, ponendo le premesse per il trionfo politico del 2001.

Fu il quinquennio caratterizzato dal «contratto con gli italiani» firmato a «Porta a porta» alla vigilia delle elezioni. Come è noto, la valutazione di quell’impegno è rimasta sempre controversa. Berlusconi esibisce il certificato dell’Università di Siena che lo ritiene applicato per l’85 per cento. Gli avversari politici lo riducono a carta straccia. In realtà, le pensioni minime furono effettivamente aumentate a 1 milione al mese («Magari l’avessimo fatto noi» mi disse Fausto Bertinotti) e i posti di lavoro crebbero. Ma la crisi economica che s’affacciò dopo il crollo delle Torri gemelle impedì che fosse mantenuta la promessa simbolica e più importante: la riduzione delle imposte con le due famose aliquote del 23 e 33 per cento. Elevò il limite di esenzione per i redditi più bassi, ma c’era poco altro da fare.

Quel che invece può essere contestato a Berlusconi negli otto anni del suo governo (i cinque di quella legislatura e i tre tra il 2008 e il 2011) è di non aver scalfito la spesa pubblica: colpa non lieve per un ministero liberale. Mentre è curioso che il centrodestra non abbia rivendicato il grosso merito di aver ridotto più di altri l’evasione fiscale passando dai 7 miliardi all’anno recuperati da Prodi fino al 2007 ai 12 recuperati da Berlusconi nel 2011 e poi stabilizzati da Monti l’anno successivo. Nel suo unico intero quinquennio di governo, Berlusconi fu indebolito da una formidabile opposizione sindacale (oltre che giudiziaria), che raggiunse il suo apice con l’avversione alle norme sulla flessibilità del lavoro pagate con la vita da Marco Biagi. Roberto Maroni fece una coraggiosa e preveggente riforma pensionistica, che Prodi fu costretto a rivedere con una penalizzazione per lo Stato di 9 miliardi in un decennio. Il secondo biennio del Professore (2006-2007) non fu fortunato: come gli era accaduto 10 anni prima, Prodi si scontrò immediatamente con resistenze generalizzate alla politica economica che ne produssero una caduta verticale di consenso e posero immediatamente le premesse per una caduta del governo e il trionfo del centrodestra nel 2008, pur senza l’apporto di Casini.

È noto che nel 2006 Berlusconi perse le elezioni per 24.577 voti con fondati sospetti di brogli, visto che al Senato le schede bianche furono più numerose che alla Camera, pur con 4 milioni di elettori in meno. Conquistò due anni dopo la più ampia maggioranza della storia repubblicana, ma fu roso da un duplice mal sottile. Fini fu travolto dalla sindrome del delfino e si oppose sistematicamente a Berlusconi, fino alla «cacciata» che indebolì il centrodestra.
Il secondo mal sottile fu sotterraneo e pericoloso. La solitudine e una vita noiosissima (a che servono tanti soldi se uno non può goderseli?) portarono Berlusconi fin dal 2006 (anno della depressione postelettorale) all’errore fatale di considerarsi del tutto libero nella vita privata, fino agli eccessi che io stesso gli ho contestato apertamente nei colloqui per i miei ultimi libri. La data che riassume la drammatica contraddizione è il 25 aprile 2009: dopo aver pronunciato un discorso da statista a Onna, paese colpito dalla furia del terremoto e a suo tempo dalla furia nazista, proseguì per Casoria dove festeggiò Noemi Letizia.

Berlusconi sbagliò e di grosso coinvolgendo troppa gente discutibile nelle «cene eleganti», ma è stato sottoposto dalla Procura di Milano a una gigantesca operazione di spionaggio sulla sua vita privata che anch’essa non ha precedenti nella storia italiana e che comunque non avrebbe portato a nulla se non per la discussa minore età di Ruby che lo ha portato a una condanna grottesca, se non altro nella misura. Scacciato dal governo nel 2011 grazie allo spread e alla manifesta ostilità della triade Angela Merkel-Nicolas Sarkozy-Barack Obama, alla fine del 2012 Berlusconi era accreditato dell’11-12 per cento dei voti e ne ha guadagnati 10 in campagna elettorale, pareggiando le elezioni (ha perso la Camera per 140 mila voti), mentre Pier Luigi Bersani si accingeva a limare una lista ministeriale già pronta.

Torniamo così alla domanda del ’94: perché parecchi milioni di italiani continuano a fidarsi dell’uomo più processato della Terra? Perché quei milioni di italiani non avevano voce e lui gliel’ha data. Perché l’onnipotenza della magistratura (anche questo un inedito internazionale) comincia a spaventare troppa gente.  Perché molti italiani sono convinti che il giorno in cui le tasse potessero effettivamente essere ridotte, lui sarebbe il primo a farlo. Perché la sopravvivenza di Berlusconi è un paradossale inno all’ottimismo. Il Cavaliere non è Checco Zalone. Ma la gente esce da quel film (che certo non è un capolavoro) con la sensazione che qualcosa di positivo possa accaderle. Infatti Berlusconi viene abbattuto per via giudiziaria. Le urne gli hanno dato (quasi) sempre ragione.

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Bruno Vespa