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Bruno Vespa: «Presidente nuovo, Repubblica vecchia»

Bruno Vespa: «Presidente nuovo, Repubblica vecchia»

Dopo Sergio Mattarella chi diventerà capo dello Stato? Il nuovo libro del giornalista racconta storie e retroscena di dodici «inquilini» che si sono succeduti al Quirinale. E in questa intervista fornisce indizi utili per orientarsi nelle più importanti elezioni del prossimo anno.


Da Porta a Porta a vigna a vigna. Bruno Vespa è in viaggio da Manduria, dove ha la sua cantina, a Valdobbiadene: imbottiglia il suo primo Prosecco, 13.000 bottiglie, anche rosato. Lo ha prodotto per scommessa con Luca Zaia, presidente del Veneto. Si chiama «Per Dom» in omaggio a Dominga la figlia di Riccardo Cotarella, l’enologo a cui si affida in condominio con Massimo D’Alema, quasi che la politica sia diventata una scelta di vite… Sarà pronto per brindare al prossimo inquilino del Quirinale? «Prontissimo, anzi devo dire che è venuto niente male» precisa Vespa. Invece quella bottiglia di Trebbiano d’Abruzzo di Valentini non fu mai stappata vero? Dovevate berla con Franco Marini per la sua elezione… Ricorda il conduttore: «Con lui ho avuto un’amicizia profonda. Per non nuocere al partito decise di ritirarsi dalla corsa al Colle, se avesse resistito ce l’avrebbe fatta. Gli hanno fatto una carognata mettendo in giro la voce che lui era il candidato scelto da Silvio Berlusconi. In realtà Marini con Berlusconi aveva un rapporto di stima, ma è il partito che il 18 aprile del 2013 lo ha mollato per puntare su Romano Prodi, poi azzoppato dai franchi tiratori; a quel punto non restava che un Napolitano bis». Da poco Vespa è in libreria con un diario (intimo) della Repubblica, una cronaca dell’elezione dei 12 presidenti che è un ritratto a pennellate eleganti e graffianti degli inquilini del Colle – da Enrico De Nicola a Sergio Mattarella – con un filo di galanteria per le «prime Signore» e anche qualche forte puntura di spillo ai partiti. Insomma un po’ Plutarco (le Vite parallele) e un po’ Pasquino. Quirinale. Dodici presidenti tra pubblico e privato
(Rai-Libri) si legge d’un fiato e serve a capire se non chi a febbraio sarà il nuovo presidente della Repubblica, certo il come.

Il Parlamento sta per eleggere un nuovo presidente, ma forse bisognerebbe cambiare la Repubblica?
«Nel libro lo accenno. Il vero problema è potenziare la figura del presidente del Consiglio. Per i poteri che gli assegna la Costituzione non può licenziare nemmeno un sottosegretario. E come può questa carica parlare con una figura come Emmanuel Macron, o con le maggiori cancellerie su un piano di parità? Già nel 1997 con la famosa Bicamerale perfino Massimo D’Alema si era convertito al semipresidenzialismo. Oddio, in cambio voleva il doppio turno di collegio il che significava non far mai più toccare palla al centrodestra, ma qualcosa si era mosso».

D’Alema è candidato anche stavolta? Avete lo stesso enologo: un’anticipazione per favore.
«Le parole candidato e D’Alema vanno sempre in coppia… Non è un mistero che il Colle sia la sua massima aspirazione; ma i tempi sono cambiati, l’elezione del presidente stavolta è complicata».

Perché complicata?
«I Cinque stelle appaiono divisi, e non si capisce che direzione prenderanno, la sinistra non è sicura di portare un suo uomo al Colle, il centrodestra forse riesce a essere più compatto, ma insomma il quadro non è nitido né semplice. Devo dire che nell’ultima apparizione a Porta a Porta m’è sembrato che Matteo Renzi ritenesse di avere la “golden share” sul nuovo presidente. La storia di tutti i capi dello Stato dimostra che è inutile fare pronostici: troppi sono entrati Papa e usciti cardinale, di solito sono decisive le ultime 48 ore».

Sergio Mattarella esclude il bis e Matteo Salvini ha lanciato Mario Draghi…
«Che intenzioni abbia Draghi è impossibile saperlo, lui per ora ha un compito molto delicato. Dovremmo rafforzare il ruolo del premier, mentre per il presidente della Repubblica dovremmo prevedere che sia eletto per cinque anni più o meno in parallelo con la durata del Parlamento, eliminare il semestre bianco e stabilire la non rieleggibilità».

Si rischia stavolta di eleggere un presidente votato da forze che sono maggioranza in Parlamento, ma non nel Paese?
«A dirla tutta il nuovo presidente viene eletto da un Parlamento di fatto dichiarato illegittimo. S’è fatta una modifica costituzionale che riduce a 600 i parlamentari, però votano tutti e mille i grandi elettori, compresi i rappresentanti regionali. Un ragionamento sulla modifica dell’assetto della nostra Repubblica dovrà essere avviato».

Nel suo ultimo libro si coglie una certa simpatia per Cossiga.
«Era simpaticissimo! Tutto peraltro cominciò con una litigata furibonda, poi diventammo amici anche per via di mia moglie magistrato. Cossiga aveva un sacro rispetto per la magistratura e quando intervenne sul Csm che riteneva inquinato da troppa politica, vecchi esponenti del Pci andarono da lui a complimentarsi. Cossiga era stato eletto con un patto di ferro tra i comunisti e la sinistra democristiana. E per i primi cinque anni del suo mandato mantenne ottimi rapporti con il Pci. Poi quando cominciò a premere per le riforme istituzionali fu scaricato: stava aprendo una fase costituente a cui i partiti non erano pronti».

Nel libro spiccano anche le «prime Signore». Quella ideale?
«Senza dubbio Ida Einaudi. È un amore da favola il suo: lei che s’innamora di Luigi, suo insegnante, la prima notte di nozze lo trova seduto sulla sponda del letto che scrive e gli chiede: che fai? E lui risponde: faccio i conti per sapere se potrò mantenere
te e i figli che verranno».

C’è tutto Einaudi in questo quadretto…
«C’è l’Einaudi parsimonioso, quello che si compra la tenuta per fare – e dove ancora si producono – ottimi vini piemontesi. E c’è l’Einaudi economista che considera la gestione della cosa pubblica con diligenza e dedizione da buon padre di famiglia».

Quanto a un personaggio come Vittoria Leone?
«Donna bellissima e di un’eleganza unica, anche nel momento peggiore. Mi disse, considerando l’assurda campagna di stampa che è stata montata contro Giovanni Leone: “Da quella sera, quando uscimmo dal Quirinale, non è più stato lui”. Su Leone c’è stata una manovra. I riconoscimenti tardivi che poi sono venuti a quel presidente non sono valsi a risarcire un profondissimo trauma personale e politico».

Invece Giorgio Napolitano ha cambiato gli equilibri. Giusto?
«Dopo la vittoria di Berlusconi nel 2008, le cose sono cambiate e Napolitano ha gestito la sua presenza al Quirinale incidendo fortemente sulla politica: di fatto ha dato vita a una Repubblica semipresidenziale».

Facciamo una diagnosi: il «sensorio del paziente», ovvero la Repubblica, è vigile?
«Quando arrivai al Tg 1 mi fu subito indicato Ettore Brusco, il potentissimo segretario di redazione che era stato capo ufficio stampa del Quirinale con Enrico Segni. Quando il presidente il 7 agosto del 1964 fu colpito da ictus lui emise un comunicato in cui sottolineava: “il sensorio del paziente è vigile”. Be’ riguardo alla Repubblica, alla politica, la diagnosi è: “il sensorio” è vigile, ma il paziente è fortemente convalescente».

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