ELEZIONI COMUNALI: MILANO VOTAZIONI
ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO
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Adesso non c'è più spazio per l'arroganza

Le indicazioni giunte dal voto del 5 giugno sono già chiare e su tutto domina una certezza: che il "renzismo" arrembante non ha più fiato

Il titolo della copertina di Panorama prima delle amministrative (#matteononstasereno) ha colto perfettamente nel segno. Il nostro non era un auspicio, meno che mai una macumba editoriale. Abbiamo analizzato i fatti, l'evoluzione degli eventi e i risultati delle urne si sono incaricati di dimostrare che avevamo ragione.

Va dato atto al presidente del Consiglio e segretario del Partito democratico di non aver nascosto la testa sotto la sabbia e di aver riconosciuto, proprio lui che è cosciente della sua arroganza, la pochezza del risultato. La partita si potrà dire conclusa il 19 giugno dopo i ballottaggi, ovviamente. Ma le indicazioni giunte dall'esito del 5 giugno sono già chiare e su tutto appare addirittura solare una certezza: che il "renzismo" arrembante non ha più fiato, costretto com'è in un polmone che invece di espandersi si è contratto perdendo consensi a ruota libera.

Cosa ci insegna il primo turno delle Elezioni Comunali 2016

In Italia non c'è più un sistema bipolare (centrodestra e centrosinistra) ed è da considerarsi oramai archiviata la fase della politica che abbiamo chiamato Seconda repubblica in cui due schieramenti si contrapponevano. L'arrivo del Movimento 5 stelle non ha dato neppure vita a un sistema compiutamente tripolare perché realtà come Napoli sfuggono a questa logica. C'è piuttosto un grande pozzo di antipolitica dove Beppe Grillo attinge molto più di altri ma del quale non ha l'esclusiva.

Come classificare il serbatoio (quasi il 40 per cento questa volta) di chi sceglie di non votare? Considerata fisiologica una quota intorno al 20/25 per cento, rimane inequivocabile la tendenza alla disaffezione che in questa consultazione ha rosicchiato altri cinque punti percentuali pari a circa 700 mila cittadini. Per capirci e avere un'idea concreta: è come se tutti gli elettori di Torino (695 mila) fossero rimasti a casa.

Riportare ai seggi questi cittadini è il vero banco di prova della buona politica, la cartina di tornasole di un sistema che altrimenti è destinato a collassare. Esauriti i ballottaggi, l'Italia apparirà più divisa che mai. In virtù di questo tripolarismo imperfetto il voto disegnerà un Paese in cui sarà sempre più difficile trovare, politicamente parlando, un unico filo conduttore. In queste condizioni ci aspettano quattro mesi di campagna referendaria col coltello tra i denti e attraversati dagli inevitabili contraccolpi post-elettorali, perché il Pd da un lato e il centrodestra dall'altro dovranno definire pesi, equilibri interni se non leadership.

Voteremo a ottobre una riforma costituzionale che, accompagnata dalla nuova legge elettorale, finirebbe per consegnare tutte le chiavi del Paese a una lista che a conti fatti raggiunge il 20 per cento dei consensi, considerato ovviamente l'intero corpo elettorale. Bisognerà iniziare a pensarci seriamente. Se dunque dai ballottaggi, soprattutto di Roma e Milano, avremo verdetti che vanno nella direzione di un'ulteriore punizione dei candidati targati Renzi significherà che il vento è davvero cambiato. Anche nella prospettiva del referendum di ottobre.

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Giorgio Mulè