Dieci brand sostenibili per celebrare l'Earth Day
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Moda

Dieci brand sostenibili per celebrare l'Earth Day

Realtà nuove e grandi nomi, insieme per un futuro più green.

La Giornata della Terra — spesso indicata con la terminologia inglese di Earth Day — è una celebrazione annuale che si tiene il 22 aprile per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza della protezione dell'ambiente e della promozione della sostenibilità.

Considerata una delle più grandi manifestazioni ambientali al mondo e coinvolge milioni di persone in tutto il globo, nasce nel 1970, quando il senatore statunitense Gaylord Nelson decise di dare vita a un'ampia mobilitazione per sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo ai problemi ambientali, in risposta ai gravi effetti dell'inquinamento e della distruzione ambientale.

La moda è ancora una volta protagonista dell'Earth Day attraverso i brand che hanno fatto della sostenibilità il loro core business e le aziende che guardano a un futuro green. Scopriamoli insieme.

ECOALF

Negli ultimi 15 anni, la missione di Ecoalf è cresciuta fino a rappresentare molto di più dell’utilizzo di materiali riciclati.

Ecoalf guida una rivoluzione, dimostrando a una delle industrie più inquinanti del mondo che le decisioni che fanno bene al pianeta sono anche positive a lungo termine per le aziende stesse.

Il brand ha infatti riciclato più di 300 milioni di bottiglie di plastica, risparmiato oltre 54 miliardi di litri d’acqua, riducendo le emissioni di CO2 du 12.500 tonnellate e rimuovendo di 1.700 tonnellate di rifiuti dal fondo dei mari grazie ai 4.000 pescatori che collaborano con il progetto Upcycling the Oceans.

Sempre più italiani scelgono di acquistare second hand

L’ultima tendenza della moda sostenibile ha un nome: second hand.

Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Second Hand Economy, condotto da BVA Doxa per Subito, la compravendita di usato è passata da un comportamento minoritario e funzionale a un vero e proprio trend consolidato, con risultati in crescita per tutti i principali parametri presi in analisi.

Se infatti nel 2014 la second hand era ancora vissuta con pregiudizio dagli italiani che la praticavano in caso di necessità, nel 2023 si è affermata definitivamente come comportamento di acquisto consolidato per il 61% di chi la pratica, per cui rappresenta la prima scelta per ogni tipologia di necessità. In crescita anche la frequenza di acquisto (il 76% degli acquirenti e il 71% dei venditori ha dichiarato infatti di fare second hand almeno due volte all’anno) così come il numero di oggetti acquistati o venduti (per l’81% pari o maggiore rispetto all’anno precedente), per un volume d’affari complessivo generato pari ai 26 miliardi di euro (+44% rispetto al primo anno di rilevazione), ovvero l’1,3% del PIL nazionale.

«In questi dieci anni l’Osservatorio Second Hand Economy ha mappato il mercato dell’usato in Italia, quantificando per la prima volta il suo valore economico, ma anche raccontando le caratteristiche e i mutamenti di questa forma di economia circolare che è ormai una scelta consapevole e di valore», ha raccontato Giuseppe Pasceri, CEO di Subito.

Gli italiani che oggi decidono di acquistare usato hanno raggiunto i 26 milioni (contro i 19 del 2014) trovando nella Generazione Z un cluster particolarmente appassionato che rappresenta l’88% del totale. Il fattore generazionale, insieme alla crescente digitalizzazione dell’approccio ai consumi, è direttamente proporzionale alla crescita della dimensione del mercato pre-loved, dove l’online oggi rappresenta il canale preferenziale per il 63% degli intervistati e genera il 50% del valore economico complessivo del settore.

Il risparmio resta stabilmente il primo driver d’acquisto, mentre per quanto riguarda la vendita gli intervistati mettono al primo posto la necessità di fare spazio (77%) ma anche di voler dare nuova vita agli oggetti, evitando sprechi (36%).

«Accanto all’impatto economico, è sempre più rilevante quello ambientale: il 58% degli oggetti acquistati usati viene poi rivenduto, regalato o donato, innescando un circolo virtuoso che prolunga ulteriormente la loro vita», ha proseguito Pasceri. «Dato che fa ancora più effetto se paragonato al comportamento di chi non fa second hand, che nel 42% dei casi butta ciò che non usa più, anche se ancora in buono stato. Uno spreco, ma anche un costo in termini ambientali a carico del pianeta e della collettività».

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Mariella Baroli