Pasqua, l’isola del mito
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Pasqua, l’isola del mito

La Costa neoRomantica ha raggiunto l’Isola di Pasqua. Prossima tappa del giro del mondo sud sarà l’arcipelago della Polinesia

Prua a ovest, a seguire la parabola del sole e la propria ombra che si allungava a mano a mano che finiva il giorno. E poi le stelle, e poi di nuovo il sole, via verso il non conosciuto in un’avventura liquida che non si sapeva quando finiva. Si faceva così nel tempo furibondo e scellerato dei naviganti conquistatori.

La Costa neoRomantica non ha vele, ma motori possenti. Neppure il desiderio di conquista, eppure la traversata fino all’Isola di Pasqua conserva un fascino antico. Indistruttibile, anche oggi, epoca di distanze abbreviate e tempi veloci. Perché l’approdo a questa terra giunge dopo quattro giorni in mare, in questo giro del mondo  moderno che riporta ai miti del passato. Quattro giorni in un orizzonte circolare, quattro giorni dal sapore strano, da vivere in tanti modi. Nella poesia, ascoltando lo stesso antico fruscio dell’acqua sulle fiancate della nave. Ma anche nella discoteca di bordo o nei ristoranti, nei locali, nella sauna, in piscina, se si vuole godere di tutto quello che questa moderna nave sa offrire, soprattutto quando si affrontano le navigazioni più lunghe. Un modo, questo, per riservarsi solo l’eccitazione finale di una terra che compare all’improvviso dopo tutto questo vuoto, dopo tutto questo blu.

L’Isola di Pasqua che si materializzerà, nuda e vellutata di verde come le colline inglesi. Invece di essere prepotentemente  esotica, come dovrebbe, piena di palme e di noci di cocco. Nuda e piena di affascinanti misteri. Si era partiti da Valparaíso, con l’accento che cade sulla i, a dare  dinamicità perfino al suono del suo nome, la più arruffata, intellettuale, complicata e colorata città del Cile. Bella di una bellezza naïf, come le  tinte folli delle sue case, senza mezze misure, gialle, verdi, rosse, blu, con un odio dichiarato per le tenui sfumature pastello. Provocante ma raffinata come uno dei suoi abitanti, Pablo Neruda, che per un po’ ci abitò e visse in simbiosi con quello stile. La città illude con una parte moderna ed efficiente, un porto di aspetto rigoroso, capace di gestire volumi di traffico immensi, e poi stupisce il viaggiatore con il resto, a cominciare dalle sue colline caleidoscopiche, piene di tanti mattoncini tipo Lego buttati a caso in precario equilibrio, divisi da strade con pendenze degne dei Pirenei, che si buttano a capofitto nel mare là in fondo. Una volta all’anno sono pista per la più folle delle downhill urbane del mondo, cioè le corse in discesa con le mountain bike. Giusto per non essere confusa con il resto del paese, un Cile sempre più solido e ordinato.

Ce n’eravamo andati in un tiepido imbrunire e l’isola è arrivata in una radiosa mattina ventosa. Un buon vento teso e fresco capace di rendere spettacolare la discesa dei passeggeri dalla nave ormeggiata all’ancora in rada. Uno sbarco che conserva il sapore avventuroso del passato, nella baia della spiaggia di Anakena, l’unica rimasta a vantare una fitta vegetazione di palme.  L’escursione, da mattina a sera, è alla scoperta di un mondo mai visto, su strade di terra rossa e branchi di cavalli liberi, fino alla visita dei siti dove si trovano le celebri statue totem, i Moai. La ricchezza, forse la sola, dell’isola, insieme ai suoi misteri. Enormi, inquietanti e spettacolari come i siti naturali dove si trovano, testimonianza di una strana storia e di una società travolta dalla spirale dei propri riti. Oggi di una bellezza strana e mito inossidabile per tutti i viaggiatori.

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