Lo chiamavano Jeeg Robot
Emanuela Scarpa

Lo chiamavano Jeeg Robot, una gioia tutta italiana: 5 motivi per vederlo

Divertente ed entusiasmante, è la bella sorpresa firmata Gabriele Mainetti. Un cinecomic ambientato a Tor Bella Monaca. Che ha trionfato ai David di Donatello

Quando è uscito per la prima volta al cinema l'avevamo detto: Lo chiamavano Jeeg Robot è un'autentica rivelazione, sorprendente e appassionante. I David di Donatello l'hanno confermato: sette premi - tutti di peso - per il cinecomic italiano, opera prima di Gabriele Mainetti. Per questo, oggi come ieri, vi diamo 5 motivi per vederlo, ora che dal 21 aprile il film torna in oltre 200 sale.

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(Articolo del 24 febbraio 2016)

Sorprendente, divertente, entusiasmante e, soprattutto, meravigliosamente italiano. È Lo chiamavano Jeeg Robot, opera prima dell'attore romano trentanovenne Gabriele Mainetti. Un'autentica gioia cinematografica, che spolpa diversi generi, ne prende brandelli e li unisce insieme con cura e sagacia facendone un insieme innovativo e croccante. Anche in Italia, allora, si possono fare cinecomics convincenti e da applausi. 

Dopo aver riscosso una caldissima accoglienza da parte di stampa e pubblico alla scorsa Festa del cinema di Roma, il film arriva in sala il 25 febbraio con Lucky Red. 
Ecco 5 motivi per vedere Lo chiamavano Jeeg Robot:

1) Un supereroe italiano in scarpe di camoscio

Sulla sceneggiatura di Nicola Guaglianone e del fumettista Menotti, si muove un supereroe tutto italiano, anzi, romano e coatto. Abita in periferia, a Tor Bella Monaca, e non ha un nome intrigante come Tony Stark o Peter Parker o Steve Rogers. Si chiama Enzo Ceccotti. Non veste tutine attillate, armature di titanio, scudi indistruttibili. Se ne sta in jeans, felpa e scarpe di camoscio. 
È un tipo solitario e vive di furtarelli. Proprio in seguito a una fuga dalla polizia, si butta nel Tevere e sott'acqua non può che imbattersi in rifiuti. Ma i rifiuti che lo avvinghiano sono tossici e lo dotano di forza e capacità sovrumane. 
Gli effetti speciali a cui Mainetti si affida per il suo supereroe sono essenziali, e proprio per questo sempre appropriati e puntuali. Non siamo negli States, siamo in Italia, Roma, ed Enzo Ceccotti è molto più vero e vicino a noi di Iron Man e Capitan America.

2) Santamaria ombroso Hiroshi

Interpreta Enzo Ceccotti, supereroe per caso, Claudio Santamaria, che per la parte è ingrassato di 20 chili. Ombroso, disabituato a interagire con il prossimo, vive da solo cibandosi di creme in vasetto e guardando film porno. Quando prende coscienza dei nuovi poteri cerca di incanalarli verso la cosa che più lo interessa: rubare. A cambiarlo sarà l'incontro con Alessia, interpretata dall'ex partecipante del Grande Fratello Ilenia Pastorelli. Alessia è una ragazza traumatizzata e un po' sciroccata, che crede di vivere dentro il cartone animato Jeeg robot d'acciaio. In Enzo crede di vedere il suo Hiroshi Shiba, anche se "un supereroe con le scarpe de camoscio non s'è mai visto". 
La strana coppia Enzo-Alessio genera momenti divertenti, quasi surreali, di certo teneri. Roccioso, cupo, dall'aria sempre stropicciata, non poteva esserci attore più adatto di Santamaria per incarnare il supereroe "de noantri". Guarda caso, era stato proprio Santamaria a doppiare il Batman di Christian Bale nella trilogia di Christopher Nolan.

3) Marinelli, perfetto villain psicopatico

Tra Sperma, Biondo e Pinocchio, il piccolo boss della criminalità locale a Tor Bella Monaca è lo Zingaro, un Luca Marinelli strabordante, che si conferma in ottima forma dopo l'altra viscerale interpretazione in Non essere cattivo di Claudio Caligari. In Lo chiamavano Jeeg Robot Marinelli è poeticamente trash quando canta con trasporto Un'emozione da poco di Anna Oxa, è pericoloso, infido e letale con chi lo contraddice, è comico quando fa il duro spietato e poi sceglie come suoneria del cellulare la canzone della Oxa. Avido, ambizioso, folle, è una maschera teatrale riuscitissima, un perfetto villain psicopatico alla Joker. Tocca la sua apoteosi nel finale, vetta dell'ironia macabra.

4) Scoppiettante commistione di generi

Lo chiamavano Jeeg Robot è una brillante commistione di generi. Si fondono con gusto atmosfere dark fumettose, tensione da thriller, situazioni sanguinose da crime movie, romanticismo, comicità sottile giocata sui paradossi, eccessi pulp, degrado delle periferie, solitudini diverse. Mainetti mescola tutto in un vortice che sembra caos e che invece è alchimia perfetta, supportata da un'intrigante estetica visiva e da scoppiettanti trovate.

5) Allegria vintage

Dal ministro Mimashi alla regina Himica, nella sua ossessione delirante Alessia ci fa rivivere personaggi e ricordi di Jeeg robot d'acciaio, la serie animata di successo che arrivò in Italia nel 1979, in uno spassoso revival anni '70-'80. Si alza un'allegra e scanzonata atmosfera vintage, in cui non mancano hit italiane spesso usate a mo' di espediente comico. Non solo Un'emozione da poco di Anna Oxa ma anche Non sono una signora di Loredana Bertè, Latin lover di Gianna Nannini, Ti stringerò di Nada.
La colonna sonora è composta dallo stesso Gabriele Mainetti e dal musicista Michele Braga. A scandire il ritmo del film c'è un impianto elettronico addolcito dal pianoforte.
Il brano dei titoli di coda non può che essere un riarrangiamento in versione più matura della sigla Jeeg Robot d’acciaio, cantata da Santamaria.

Lo chiamavano Jeeg Robot, immagini del film

Emanuela Scarpa

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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