Griselda Netflix Sofia Vergara
(Netflix)
Televisione

Sofia Vergara: «Io come Griselda»

Intervista all'attrice che arriva su Netlix nei panni della narcotrafficante più temuta d'America. La mini serie, in otto puntate, al via il 25 gennaio

Griselda, liberamente ispirata alla vita di Griselda Blanco, avrebbe potuto essere una storia scritta con i crismi della serialità moderna. Femminile, femminista: un racconto di riscatto e rivincita, vissuto attraverso gli occhi di una madre single, anni di abusi domestici alle spalle, una propria dimensione di successo da costruire. Ma Griselda, Griselda Blanco, i bei presupposti della sua storia da sogno, ha deciso di tradirli. «L’unico uomo di cui ho mai avuto paura è stata una donna», avrebbe detto Pablo Éscobar, nelle poche parole che Netflix ha deciso di inserire fra i titoli di testa del suo show: Griselda, sei episodi, una miniserie, la promessa di ricostruire gli orrori della Blanco, della narcotrafficante più temuta d’America.

Griselda, su Netflix dal 25 gennaio, ha gli occhi di Sofia Vergara, un naso di plastica, la parrucca. «La cosa più importante per me era scomparire. Volevo che Sofia scomparisse e, con lei, Gloria Pritchett di Modern Family. Non volevo che lo spettatore guardandomi potesse dire: “Oh, è solo Gloria con una parrucca”», ha spiegato la Vergara, durante la conferenza di lancio, a Londra. Sofia Vergara, impeccabile, è lontana dalla realtà un po’ pingue e trascurata di Griselda Blanco, ma credibile e preparata. «Non avevamo otto ore per fare il trucco», ha detto, «Ho cercato di cambiare come ho potuto, cercando parimenti di evitare l’effetto “costume di Halloween”. Ho cambiato perfino la mia postura, camminando gobba, protesa in avanti, un braccio costantemente alzato nel gesto di fumare una sigaretta». Quella postura, mantenuta per tutti e sei gli episodi dello show, le sarebbe valsa un «problema ad un disco vertebrale. Il mio dottore mi ha detto che sono pazza a pensare di poter camminare così alla mia età. Mi ha detto che non me lo posso più permettere. Però, ne è valsa la pena». Una risata, leggerezza, la stessa che – nonostante la materia – sembra potersi trovare in Griselda. Griselda non è Narcos. «È meglio». La storia di una donna, ex prostituta senza alcuna istruzione, scappata da relazioni tossiche, i figli al seguito, per fare, e meglio di loro, quel che i suoi uomini hanno sempre fatto: tenere in scacco intere città, spostare quintali di cocaina, uccidere e arricchirsi.

Come entrare in empatia con un personaggio del genere?

«Quello di Griselda Blanco è un personaggio che ho studiato a lungo, nel corso di un decennio. Ho capito che qualcosa in comune lo abbiamo. Qualcosa oltre i natali colombiani. Da madre, da donna, da immigrata, per certi versi mi sono sentita vicina a lei».

Quali versi?

«Da madre, posso dire che ucciderei per mio figlio, senza pensarci due volte. Ucciderei anche il mio ex marito (e, di nuovo, la risata fragorosa di prima, ndr). Mi piacciono i soldi, poi, come piacevano a Griselda. Mi piace lavorare duro per farli e farli da me, senza bisogno di un uomo. So che può suonare retorico, ma davvero, non ho bisogno di un uomo».

Griselda Blanco, però, si è spinta oltre, e oltre è un eufemismo.

«E, infatti, ci sono tante cose che ho fatto fatica a comprendere. La volontà di far male agli altri, l’ego, l’egoismo. Griselda Blanco, che ad un primo sguardo non sarebbe mai sembrata minacciosa, aveva qualcosa dentro di perverso, cosa per me strana».

Perché strana?

«Non si può generalizzare, ma direi che tutte le donne in Colombia hanno uno stesso modo di guardare alla vita, con entusiasmo e ottimismo, con un occhio al futuro. Senza depressione, ma con felicità. Griselda Blanco, una ex prostituta senza istruzione, aveva questa stessa cosa dentro di sé. Era intelligente, scaltra. Se avesse voluto, sarebbe potuta diventare il presidente della Colombia, ma ha scelto la strada della criminalità».

Si è chiesta come mai?

«Credo che tutto sia nato da una buona intenzione. Aveva paura e bisogno di proteggere i suoi figli. Credo che l’intelligenza l’abbia portata a sperimentare cose che aveva solo visto negli uomini. Poi ad un certo punto deve essersi detta: “Posso farlo anch’io, posso essere anch’io cattiva come loro”».

Il progetto di questa serie risale a dieci anni fa. Perché ci è voluto tanto per realizzarla?

«Un po’ perché stavo girando Modern Family, un po’ perché Griselda Blanco allora era viva e sembrava che la sua storia potesse avere una sorta di happy ending. Da colombiana che ha vissuto in quegli anni lì, fra i Settanta e i Novanta, poi devo dire che, per quanto famosa, Griselda è sempre stata un personaggio criptico. L’ho dovuto studiare a lungo, anch’io che il narcotraffico lo conosco benissimo. Mio fratello era in quel mercato e, comunque, non riuscivo a capacitarmi di come una donna avesse potuto scegliere di infilarcisi».

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Claudia Casiraghi

(Milano, 1991)

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