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(Savlov)
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Sostenibilità, modernità, qualità. La filosofia di Salov sull'olio 2.0

Intervista a Fabio Maccari, ad dell'azienda leader del settore oleario tra la forza della tradizione ed il nuovo (mercato) che avanza

L’olio è alimento base capace di unire tutte le cucine di tutte il mondo, Omero lo chiamava “oro liquido”, i cuochi lo utilizzano per la sua versatilità. Oggi anche l’industria olearia deve fare i conti con la sostenibilità. Come affrontarla? “Il segreto è nell’approccio che si ha!” parola di Fabio Maccari, Ad di Salov Spa, gruppo industriale tra i principali player mondiali del settore oleario, proprietario dei marchi storici Filippo Berio e Sagra, che lo scorso anno ha fatturato quasi 500 milioni di euro, esportando l’olio di oliva in tutto il mondo.

Sostenibilità ambientale, sociale, economica. Concetti gettonatissimi ma…

«Abbiamo iniziato ad occuparci di sostenibilità nel 2009, siamo stati quasi dei pionieri. Ci siamo posti la questione prima che fosse d’attualità. Oggi tutto ricade sotto il cappello della sostenibilità, come le tematiche legate all'autoproduzione di energia, alla riduzione dei consumi energetici o dell'uso di acqua, temi che una volta significavano semplicemente essere più efficienti. Crediamo talmente nella sostenibilità da riportare interamente questo approccio nei prodotti a nostro marchio - Filippo Berio - con cui produciamo olio basandoci sul principio dell'agricoltura integrata. Nel 2021 abbiamo lanciato il primo bilancio di sostenibilità perché volevamo convogliare in un unico documento tutte le attività in cui l'azienda era impegnata. Con l'altro marchio di proprietà Salov - Sagra - siamo stati i primi ad utilizzare bottiglie di plastica riciclata al 50%. È importante dire che nonostante tutte le avversità degli ultimi anni, dalle crisi, alle guerre ai cambiamenti climatici, non ci siamo mai fermati in termini di sviluppo e ricerca, anche grazie all’apporto dei fondi del PNRR. Per noi la sostenibilità è un'opportunità, non un peso. A dimostrazione di questo, paghiamo di più l’olio prodotto con il principio dell'agricoltura integrata: un ottimo incentivo per gli agricoltori».


Fabio Maccari, Ad di Salov Spa

Packaging: siete partiti utilizzando il 50% di plastica riciclata. Perché?

«Perché ai tempi non c’era disponibilità di plastica riciclata, ed il 50% era il massimo raggiungibile. Quando è stato possibile reperire più plastica riciclata siamo passati al 100%. Parliamo di atteggiamenti che devono avere comunque un vantaggio economico per essere sostenibili per un'azienda. Il risultato è che oggi la plastica riciclata costa più di quella vergine, ed è questa la spinta che serve per portare un cambiamento».

Nel 2022 avete investito, 5 milioni di euro in nuove installazioni tecnologiche. In che modo la tecnologia si inserisce nella produzione di olio?

«La tecnologia è fondamentale perché permette di immettere sul mercato prodotti sempre più garantiti e sani. Basti pensare alla termostatazione degli oli, all'insufflazione con azoto, alla pre filtrazione, tutte tecnologie che preservano la qualità. L'olio EVO prodotto tempo fa non era come quello di oggi, nonostante la visione romantica che molti hanno del passato. Nel nostro uliveto lavoriamo con il CNR per localizzare le problematiche, risolverle e circoscriverle usando il minore impatto possibile, e tutto grazie alla tecnologia. Nell'ultimo quadriennio abbiamo investito 17 milioni di euro in miglioramenti tecnologici, praticamente in tutti i reparti, anche in digitalizzazione».

A proposito di Cnr, a Villa Filippo Berio avete un oliveto dedicato alla ricerca. Di cosa parliamo?

«Il progetto è nato negli anni '90 in maniera autonoma con l’idea di specializzarsi nella parte agronomica. Successivamente c'è stato il primo contatto con il CNR, circa vent’anni fa, quando i nostri 75 ettari di uliveto sono rimasti sommersi per 45 giorni dall’acqua, per via di un'alluvione. In quell’occasione le piante hanno incredibilmente resistito, e così abbiamo cercato di capire cosa fosse successo. Il nostro uliveto è diventato oggetto di ricerca non solo per quell’episodio. Siamo poi passati a studiare la Xylella Fastidiosa che ha devastato mezza Puglia. Abbiamo sezionato l'uliveto in più parti, ognuna trattata con metodi diversi, cercando le essenze non gradite all'insetto sputacchina, che è il vettore della Xylella. Fino a provare ad implementare le attuali varietà resistenti alla Xylella, che sono il Leccino e l'FS17, incrociandole e mettendole a dimora nei nostri campi. Una ricerca importante i cui risultati avranno effetti che saranno messi a diposizione di tutti. La Xylella è un batterio che esiste da sempre, e come lei ce ne sono altri che attaccano per fare alcuni esempi il melo o la vite. È importante l'approccio che potrà essere applicato ad altre specie vegetali».

Cos’ha di particolare il vostro uliveto per attirare le attenzioni del CNR?

«Innanzitutto, la posizione e lo spazio. Il nostro uliveto è un grande rettangolo di 75 ettari, un corpo unico, mentre la media degli appezzamenti degli uliveti è di 1,5 ettari. Poi, la gestione delle nostre piante è affidata ad agronomi, professionisti che parlano la stessa lingua degli esperti del CNR, in ultimo, per noi questo uliveto non rappresenta una forma di sostentamento, ma di studio, quindi siamo ben disposti a mettere a disposizione le piante per scopi che vanno oltre la normale produttività della pianta».

Il Made in Italy, quanto vale?

«Intanto il Made in Italy può avere due accezioni: da una parte si parla di produzione italiana di olio, dall'altra di know how italiano. Non sempre le due cose coincidono. Se parliamo in generale di cibo, noi italiani importiamo prevalentemente materia prima ed esportiamo quasi esclusivamente prodotti finiti. In mezzo c'è appunto il know how italiano. Nel mondo dell'olio, l'Italia consuma circa 1 milione di tonnellate e produce tra le 150 e le 350 mila tonnellate. È evidente che ci sia molta materia prima di importazione, ed è lì che subentrano la nostra conoscenza e tecnologia, aspetti che fanno si che sulle tavole italiane arrivi un ottimo olio, nonostante le olive vengano importate. Salov è un’azienda fortemente vocata all'esportazione, ma avere le radici ben salde nel territorio rafforza la nostra produzione».

Parliamo di produzione. Che annata è stata?

«Purtroppo per il terzo anno di fila abbiamo assistito ad un calo della produzione. Se prendiamo come riferimento le ultime due annate della Spagna, il più grande produttore al mondo, e quindi termometro di riferimento del mercato, parliamo di raccolti estremamente bassi. Diamo qualche numero: la produzione mondiale di olio è di circa 3 milioni di tonnellate. Tra novembre 2022 e febbraio 2023 il raccolto si è attestato indicativamente intorno ai 2,4 milioni di tonnellate. La Spagna è passata da 1,5 milioni di tonnellate a 660 mila tonnellate di produzione. Questo ha innescato un fisiologico aumento dei prezzi, a seguito delle previsioni e di una domanda e offerta decisamente squilibrate».

Perché queste flessioni nella produzione?

«Colpa del meteo, arriviamo da due anni di siccità e di ondate di calore. L’estate scorsa ci sono state settimane in cui le temperature nel sud della Spagna hanno raggiunto i 50°C. Le ondate di calore possono arrecare danni enormi: se ad esempio arrivano quando il frutticino si è appena formato, la pianta per autodifendersi lascia cadere tutti i frutti (tecnicamente cascola). La produzione chiaramente non registra gli stessi andamenti in tutte le parti del mondo, ad esempio la parte orientale del Mediterraneo (Grecia, Turchia, Siria) ha registrato un buon raccolto».

Come è stata invece la produzione italiana?

«L'Italia produce mediamente tra le 350 e le 150 mila tonnellate l’anno. Ma quando si parla di produzione bisogna scindere tra raccolto e produzione dell’olio. Quella del 2023/2024 sarà un'annata buona in termini di raccolto, in particolare nel sud Italia, con un accento positivo in Puglia. Chiuderemo l’anno con meno vendite in termini di litri venduti (considerando che il prodotto venduto oggi è stato raccolto nella stagione 2022/2023), ma con un fatturato superiore, perché quello che vendiamo costa di più. Altro dato da considerare quando si parla di produzione, è la scorta di prodotto non consumato della stagione precedente. Se per due anni di fila non c'è stato surplus di raccolto, l’anno successivo non ci sarà abbastanza prodotto per compensare».

Da dove provengono le olive che importate?

«Importiamo da tutti i paesi comunitari produttori, dalla Grecia, Spagna, Portogallo, ma anche dalla Tunisia. I nostri olii sono blend europei, con all’interno una quota di olio italiano, presente in percentuali diverse».

In Italia abbiamo la percezione che tutto ciò che facciamo sia migliore. È davvero così?

«La produzione italiana è indiscutibilmente di ottima qualità, ma questo non implica che la produzione degli altri paesi sia pessima, anzi. In Grecia, Spagna, Portogallo, ci sono ottimi oli».

Lo scoppio del conflitto russo-ucraino ha innescato una spirale di ripercussioni. Fate ancora i conti con queste criticità?

«La crisi ucraina ha avuto effetti diretti sull'olio di semi di girasole, che l'Ucraina esportava in tutta Europa. Essendo questa la tipologia di olio più utilizzata, doveva essere rimpiazzata da altri grassi alimentari. Di conseguenza, la domanda di questi ultimi, tra cui ricade anche l'olio di oliva è cresciuta, e con essa i prezzi di tutto il comparto. Oggi l'emergenza da quel punto di vista è rientrata e l'olio di semi di girasole si trova anche a prezzi inferiori rispetto a prima dell'inizio della guerra».

A 150 anni dalla vostra nascita lanciate sul mercato italiano il metodo Berio. Di cosa parliamo?

«Filippo Berio esiste da 150 anni ed è esportato all’estero da sempre. Per il mercato italiano è stato introdotto nel 2019 un progetto dedicato, metodo Berio, con cui vengono selezionate solo le coltivazioni che seguono i principi della produzione integrata. Un percorso di qualità certificato, sostenibile e tracciabile, che a tendere speriamo di riuscire ad esportare in tutto il mondo. La crescita costante del gruppo Salov ha fatto sì che passassimo dal decimo posto nella ranking list mondiale delle aziende fornitrici di oli nel 2018, al terzo posto di oggi».

Da dove arriva il vostro fatturato? E quali sono i vostri mercati di riferimento?

«3/4 delle bottiglie che vendiamo finiscono all'estero, questo è dà sempre il nostro DNA. I principali mercati sono Stati Uniti e Inghilterra, seguiti dagli altri 75 mercati esteri in cui siamo presenti. In Belgio, Brasile e Hong Kong siamo leader di mercato, in Canada siamo tra le prime quattro marche italiane vendute».

Mercati nel mirino?

«La prossima sfida sarà la Cina, che non è un grande consumatore di olio. Lì c'è una cultura identitaria molto forte, difficile da persuadere. È richiesto un grande sforzo per guidare il gusto verso un'altra direzione. Pensiamo però ci siano delle potenzialità».

Sicurezza alimentare. Come possiamo difenderci dalla contraffazione?

«Il discorso sulla contraffazione si divide in due parti. In primo luogo, c’è l’azienda Salov che mette in gioco un team di esperti che si occupa dell'acquisto, dell'assaggio e batte tutti i mercati per avere il polso dell’offerta, permettendoci di conoscere molto bene tutta la produzione mondiale. Questo ha portato a costruire una rete di partner selezionatissimi con cui c'è un grande rapporto di fiducia. Poi abbiamo un sistema di controllo interno straordinario. Gli olii che arrivano nelle autocisterne, prima di essere scaricati, vengono analizzati, assaggiati, e solo dopo entrano in azienda: questo rende l’idea dei nostri standard di verifica. Dal punto di vista del consumatore, esiste fortunatamente una potente infrastruttura di controllo nazionale che definirei ferrea. Le produzioni di olio d'oliva sono monitorate, in Italia, in ogni loro fase, il che garantisce una qualità del prodotto certa e costante».

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Nadia Afragola