Genesis: Selling England By The Pound compie 50 anni ma non invecchia
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Genesis: Selling England By The Pound compie 50 anni ma non invecchia

L'intro al pianoforte di Firth of fifth, il rap di Peter Gabriel in I know what I like, la maestosa bellezza di The Cinema Show. Era il 1973 quando cinque poco più che ventenni pubblicarono un capolavoro senza tempo...

Un disco per sempre, un album cult che è scolpito nella memoria di quelli che c'erano quando è uscito o di quelli che l'hanno scoperto qualche anno più tardi sui banchi dl liceo. Un capolavoro nato nell'età dell'oro del Progressive Rock, un atto creativo eccezionale soprattutto se si pensa che i musicisti che l'hanno pensato e inciso avevano poco più di vent'anni.

Sono lampi geniali quelli che attraversano le canzoni di Selling England By The Pound: da Dancing with the moonlit knight a I know what I like (con un inserto rap di Peter Gabriel), Firth of fifth (l'intro di piano è storia della musica), The Battle of Epping Forest, The Cinema Show, More fool me (cantata da Phil Collins) e la strumentale After the ordeal: strutture musicali e armonie estremamente complesse, in alcuni passaggi dall'anima pop, accessibili all'orecchio, ma difficilissime da suonare. Ci hanno messo due mesi Phil Collins, Peter Gabriel, Tony Banks, Mike Rutherford e Steve Hackett per realizzare qualcosa destinato a rimanere per sempre. L'hanno fatto in tempi in cui il fattore umano era essenziale, quando ogni singola nota era suonata e tutte le parti ritmiche erano vere.

Tutto è arte in Selling England: dalla copertina, un dipinto della pittrice inglese Betty Swanwick intitolato The Dream, ai testi che oscillano tra critica alla società inglese del tempo, politica, cronaca, riferimenti letterari e folklore British. Nella settimana successiva alla sua pubblicazione l'album debuttò al terzo posto in Inghilterra, al quarto in Italia e al settantesimo negli Stati Uniti. Nulla se paragonato alle posizioni in classifica e alle vendite di alcuni album dell'era senza Gabriel ed Hackett, come Genesis, Invisible touch o We can't dance. Ma quella è stata un'altra storia decisamente più mainstream e musicalmente molto meno sorprendente e sperimentale. Detto questo, il riascolto dopo cinque decenni di un classico di questa portata è ancora un'esperienza bellissima, un viaggio dentro la musica e una creatività senza confini. Consigliatissimo.

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Gianni Poglio