Bruce Springsteen: Letter to you, la recensione
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Bruce Springsteen: Letter to you, la recensione

Un instant album registrato dal vivo in studio: 12 grandi canzoni che parlano di vita, scorrere del tempo e vecchi amici che non ci sono più. Welcome back Bruce!

La vita che scorre, il passato che si riaffaccia, gli amici di un tempo che non ci sono più, e poi il presente, così drammatico e distonico rispetto al tempo in cui la carriera di Bruce Springsteen ha iniziato a prendere vita. A fare da cerniera tra allora ed oggi ci sono gli eterni complici della E Street Band con cui Bruce ha realizzato un instant album, praticamente un disco live in studio.

È questa la prima caratteristica evidente delle 12 canzoni di Letter to you: brani immediati, incisi senza troppi ripensamenti nel nome di quello che viene definito classic rock. One minute you're here, soffusa, minimale e intensa apre le danze di un album che è figlio di un'altra era del suono, ma che è il benvenuto in questo tempo di musica finta e cacofonica, a malapena utile come colonna sonora di qualche videogame per teenager annoiati.

Letter to you è l'ottimo singolo che conosciamo già bene, mentre Burnin' Train è uno dei pezzi dell'album con una marcia in più, quattro minuti di rock and roll pulsante, senza dubbio una delle migliori specialità della casa. Last man standing è invece la canzone simbolo della vita che brucia i ponti e delle memorie dei primi passi nel mondo del rock and roll (Bruce è l'unico ancora in vita tra i componenti del suo primo gruppo).

House of a thousand guitars è pura bellezza e fotografa al meglio il mood del disco. Sarà per quello straordinario intro di piano e voce, o forse per quella melodia che è già dentro chi la ascolta ancora prima che si sia compiuta nella sua interezza.

Arriva direttamente dai 70's If I was the priest, un intreccio magico tra narrazione e note, uno di quei pezzi che danno la sensazione di essere un classico senza tempo ancora prima di aver terminato il primo ascolto. Un capolavoro, l'essenza di un modo di suonare e di raccontare il mondo. All'immediatezza straordinariamente catchy di Ghost segue poi un'altra canzone figlia dei Settanta: Song for orphans, una perla ripescata dal cassetto degli inediti. Ascoltandola con attenzione è praticamente impossibile non intravedere l'ombra di Bob, il "ragazzo di Duluth". Un omaggio inconscio a chi la canzone d'autore l'ha inventata quando Bruce era ancora lontano dall'immaginarsi sul grande palcoscenico del rock and roll.

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Gianni Poglio