La vita per il vino di Hernanes, il "Profeta"​
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La vita per il vino di Hernanes, il "Profeta"​

Anche l'ex Lazio, Inter e Juventus è diventato produttore di vino, come diversi altri ex calciatori

Dall’erba dei campi da calcio agli ettari di un vigneto. Sono tanti, sempre di più i calciatori che una volta appese le scarpette al chiodo hanno intrapreso la strada imprenditoriale, iniziando a produrre proprio vino, nettare degli Dei, vietato negli anni del loro professionismo.

Alexis Sanchez, ex Inter e Udinese ha scelto il Friuli, Buffon ha tre linee di vino in Salento, Barzagli ha dei vigneti in provincia di Messina, Pirlo ha la sua società agricola vicino Brescia, Spalletti ha scelto le colline fiorentine, oltre al famoso Amarone di Malesani in Valpolicella. In Salento, Wesley Sneijder produce Negroamaro, Marek Hamsik ha ceduto alle bollicine del Prosecco. Poi è arrivato Anderson Hernanes, l'ex "Profeta" di Lazio, Inter e Juve. Ha fondato la sua azienda "Ca' del Profeta" nell'astigiano, altro territorio di grande tradizione e in questi giorni sarà tra i protagonisti di La Barbera incontra, Festival Agrimusicalletterario di San Damiano d'Asti. Sul palco si è fatto testimone di come culture e tradizioni diverse si sono incontrate dando origine a delle vere esperienze nel mondo enogastronomico.

Perché così tanti calciatori decidono di investire nel mondo del vino?

"Non direi tanti, è che i calciatori che investono nel vino hanno una cassa di risonanza importante che in qualche modo li segue. Alcuni colleghi avevano le famiglie che producevano vino, altri come me arrivando dall’altra parte del mondo sono rimasti colpiti dalla profondità e dal valore che date voi italiani al cibo, alle materie prime, alla terra. Sono arrivato in Italia 13 anni fa e non sapevo cosa fosse il vino! Ai tempi della Juventus, in squadra c’erano dei sommelier che le hanno aperto la strada (Barzagli e Marchisio).È vero! Ho fatto un po’ di grigliate con loro, amici più che compagni di squadra e in quelle occasioni si finiva sempre a parlare e a bere del buon vino. Ero già un appassionato però in quegli anni, i miei primi approcci al vino risalgono ai tempi in cui era a Roma".

Nel calcio, ci sono voluti anni di dedizione, apprendimento, attesa e pazienza per raggiungere il successo. Negli affari, basta il fiuto?

"Bisogna capire cosa si intende per successo. Dedizione, disciplina e costanza sono alla base di una carriera calcistica ma anche imprenditoriale che vuole durare nel tempo. Fare bene una cosa per un anno, quello non è successo. Serve poi che gli altri riconoscano un valore alle tue azioni. Le fondamenta devono essere solide perché il vento è tempesta ed è un attimo che tutto va in fumo".

Ha dichiarato che in Italia ha imparato a mangiare e a bere bene. Cosa l’ha colpita maggiormente?

"La ricercatezza e la cura nella preparazione degli ingredienti. Date un valore altissimo alla materia prima, mi avete fatto capire che è lei a fare la differenza. Pensate al cibo, con una tensione tale che non può lasciare indifferenti. Anche le scelte che fate, consapevoli, di quando si dovrebbe mangiare un pomodoro e della provenienza da considerare perché sia il migliore. In Brasile il cibo con il quale avevo a che fare era industriale".

Cosa l’ha spinta a rimanere in Piemonte?

"I paesaggi delle colline delle Langhe e del Monferrato. Nel 2015 sono arrivato per la prima volta per visitare una cantina. Sono arrivato la sera, era buio. Non si vedeva nulla. Al mattino andando via ho vissuto l’effetto wow ed è lì che ho deciso di mettere radici".

Oggi è un imprenditore. Quando ha scelto di concentrarsi sul mondo del vino e della ricettività?

"L’impresa si è fatta strada facendo ma ripeto sempre che non sono un imprenditore bensì un appassionato. Ho scelto di investire nel Monferrato perché mi sono innamorato di quelle colline, delle Langhe più in generale. Volevo comprare una casa in campagna, per viverci con la mia famiglia. Sono un appassionato di vino, di cucina, andavo a cercare i posti giusti per appagare il palato. È così che a metà opera ho deciso di cambiare il progetto iniziale. È per questo che l’azienda si chiama "Ca' del Profeta", perché doveva essere la mia casa".

Le Langhe, il Roero, il Monferrato sono un territorio - vocato al vino - tradizionalmente considerato "chiuso". Che benvenuto le hanno dato?

"Il calcio è una passione nazionale in Italia, credo che mi abbia aiutato molto essere stato un calciatore. Mi sono sentito ben accolto, partiamo però dalla considerazione che non sono arrivato a Montaldo Scarampi con l’idea di stravolgere le cose. Per sviluppare progetti, che durino nel tempo, occorre essere parte di una comunità. Conoscerla per lo meno. Il rispetto è alla base di tutto e credo che la gente abbia capito il mio approccio. È stata dura ottenere i permessi nel cuore del Monferrato, patrimonio Unesco. Non puoi arrivare e fare ciò che vorresti fare, serve pazienza. Amata burocrazia. È la nostra nota dolente. Faccio le cose per passione e la passione porta pazienza. Il primo anno ho trovato però sconvolgenti alcune tempistiche. Sembrava giocasse contro di noi la burocrazia, poi ho provato a capire. L’Italia è un paese con una tradizione, una cultura, una storia che arriva da lontano e quando costruisci qualcosa di nuovo, si sentono in dovere di proteggere quello che è stato fatto fino a quel momento. È così che ci troviamo a fare i conti con questo sistema di protezione che è la burocrazia. Diciamo che è stata una difesa difficile da scardinare".

Ca’ del Profeta. Nel nome c’è tutta la sua storia. Ci dà le coordinate del suo progetto?

"L’azienda vinicola è stata fondata nel 2016 a Montaldo Scarampi, commercializza vino in Europa e in Brasile e nel 2021 si sono aggiunte sei luxury suites, una cantina, una piscina. Ora lavoriamo sui dettagli: abbiamo comprato una cantina per vinificare in proprio, ed è iniziata la ristrutturazione. Parliamo di investimenti. Sono territori votati al turismo, con la parte ricettiva si va sul sicuro. Si parte comunque sempre dal basso, dallo studio, dalla scelta delle persone giuste con le quali condividere un percorso".

Una vita a far parte di una squadra e oggi si ritrova a gestire la sua squadra. Di quante persone si compone?

"Siamo in 13, e parlo al plurale perché oltre a gestire la struttura mi trovate in sala nei panni del sommelier. Ho iniziato il corso professionale, sto completando i livelli successivi al primo. Con noi c’è anche l’ex proprietario che segue tutto il lavoro in vigna".

Che vino producete?

"Produciamo quattro tipologie: 1500 bottiglie di Grignolino, 5000 Barbera, 3000 Barbera Superiore e 1200 di Brachetto. La mia esultanza, quel salto che dicevano ricordasse lo stile Fosbury è finito sulle etichette delle bottiglie. Un filo che non si interrompe mai".

Come si fa un buon vino?

"Si parte dalla vigna. Enzo Forno, il vecchio proprietario, lavora con noi da sempre. Abbiamo creato un rapporto importante, per me è come un secondo padre. Produce vino da tre generazioni e non potrei che essere in mani migliori. Si parte da lì, da chi ha il know-how. Durante la prima vendemmia abbiamo fatto tre vinificazioni diverse, portando le casse di uva a Torino, in due cantine. Lo abbiamo prodotto anche noi quel vino, volevo capire cosa e se cambiava qualcosa nel processo. E poi, poi devi rispettare il frutto, gli alberi, le vigne, la terra. E per il resto si cresce insieme".

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Nadia Afragola