festa della donna 8 marzo
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Ha ancora senso celebrare "la festa della donna"?

In un Occidente sempre più ricco di "quote rosa" la domanda appare lecita. Dopotutto siamo di fronte a una sorta di ribaltamento dei ruoli e un cambiamento nelle battaglie quotidiane che non interessano più il sesso femminile ma gli aspetti socio-culturali della popolazione

In occasione dell’8 marzo mi impegno da anni a scrivere un articolo ‘a tema’, facendo il punto sui cambiamenti della nostra società, sulle conquiste delle donne così come sulle discriminazioni che ancora segnano la distanza con il mondo maschile (nella società come nel lavoro), sui riscatti di donne realizzate così come sui femminicidi e sulle violenze di genere che non mostrano segnali di decrescita, nonostante gli strumenti legislativi approntati per cercare di contenere questo fenomeno.

Detesto la retorica, il trito e ritrito, la ripetitività degli argomenti, e così quest’anno ho deciso di cambiare completamente prospettiva formulando una domanda tanto dirompente quanto provocatoria: ma ha ancora senso festeggiare le donne nel mondo occidentale?

Pensiamo all’Italia: abbiamo un Presidente del Consiglio donna, un Presidente di Corte di Cassazione donna (il più importante organo giurisdizionale italiano), un segretario donna del maggior partito dell’opposizione, siamo quarti al mondo per donne miliardarie (come ci ha detto Forbes pochi giorni orsono), abbiamo un parterre di donne manager e imprenditrici che gli uomini se li mangiano per colazione.

Cosa vogliamo ancora?

Delle due l’una: o si ritiene che tutto questo sia frutto di una ‘concessione’ del mondo maschile per ripulirsi la coscienza e proseguire l’opera di discriminazione, o più verosimilmente dobbiamo accettare l’idea di aver svoltato, di essere finalmente entrati in un circolo virtuoso di superamento della vecchia mentalità fallo-centrica.

Quel che conta, insomma, non è l’organo riproduttivo a permettere di raggiungere i risultati, ma il talento, l’ambizione, la capacità, il merito.

E se ancora non foste convinti, considerate che la Francia ha appena reso costituzionale il diritto all’aborto, proprio in nome della libertà delle donne a essere padrone del loro corpo, con buona pace dell’uomo e dei precetti religiosi.

Al di là delle discussioni etico-giuridiche sul tema, non si può negare che siamo di fronte a un’iniziativa che poco si concilia con un vittimismo femminista e femminile.

Le donne, quantomeno nel mondo occidentale, hanno assunto un peso inimmaginabile rispetto ad un secolo fa e la cronaca ci riporta notizie di riscatti o di piena assimilazione agli uomini.

Penso alla giovane cecena Makka che ha, di recente, ucciso il padre violento nell’alessandrino, uno che – a leggere i suoi diari – menava la moglie come un fabbro ferraio e poi convocava sull’attenti i figli maschi per insegnare loro come trattare le donne.

Penso alla giovane moldava che, dopo aver conosciuto un ragazzo parmigiano suo coetaneo su internet, lo ha invitato a salire a casa e, di fronte al rifiuto di quest’ultimo di trascorrere una nottata ‘bollente’, si è talmente adirata da prenderlo a bottigliate e sequestrarlo nell’abitazione: solo l’intervento dei Carabinieri lo ha ‘salvato’.

Se non siamo al ribaltamento dei ruoli, poco ci manca.

Forse non ci stiamo rendendo conto di un cambiamento del ‘sentiment’ e del fatto che le battaglie stanno cambiando bandiera.

Ce lo ha ricordato l’italiana che, in un articolo sul Corriere della Sera, ha denunciato la dittatura woke negli Stati Uniti, dove si vive nel terrore della discriminazione etnica e dove i bianchi sono indotti a dichiararsi responsabili per le colpe dei propri antenati, talché ogni parola, domanda, gesto va attentamente pesato con il misurino per non ingenerare offese verso le minoranze e importanti conseguenze civili, penali e lavorative.

L’anonima e spaventata protagonista dell’intervista era una donna, guarda caso, ma la sua condizione di femmina non l’ha resa immune dalla follia woke.

Insomma, oggi l’essere donna non è più sinonimo di inferiorità e soprusi, perché l’opinione pubblica ha scelto nuovi tabù e nuovi obiettivi, quelli di riscrivere la storia, anche a costo di abbattere statue e ripudiare il passato colonialista e schiavista.

Di male in peggio, mi verrebbe da dire.

Per concludere: la celebrazione dell’8 marzo conserva un senso solo nel mondo non occidentale, soprattutto musulmano, dove la condizione di parificazione è una lontana chimera ed è lì che dobbiamo batterci senza ipocrisie.

Perché, ad esempio, quelle stesse persone che sono scese in strada numerose per contrastare il ‘patriarcato’, sull’onda dell’omicidio di Giulia Cecchettin, nulla hanno detto o fatto di fronte all’orribile stupro di gruppo di Catania ai danni di una bambina di dodici anni ad opera di giovani immigrati?

Non vorrei mai che le contaminazioni woke provenienti da oltreoceano stessero ammorbando anche il nostro Paese, chiamando le coscienze all’indignazione solo quando la violenza riguarda gli italiani, giustificando tutti gli altri di diversa cultura, come avvenuto in talune sentenze in cui un elemento di attenuante è stato conferito alla provenienza del violento.

Tutto cambia nella vita, e non è detto che sia sempre un bene.

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Daniela Missaglia

Avvocato matrimonialista e cassazionista, è specializzata in Diritto di famiglia e in Diritto della persona. Grazie alla sua pluridecennale esperienza è spesso ospite in trasmissioni televisive sulle reti Rai e Mediaset. Per i suoi pareri legali interviene anche su giornali e network radiofonici. Info: https://www.missagliadevellis.com/daniela-missaglia

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