Johnny Depp
(Ansa)
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Il processo Depp-Heard, la cronaca diventa documentario

Alla vigilia della sentenza la battaglia legale è diventata un cult multimediale

«Ho divorziato perché, se non lo avessi fatto, con tutta probabilità non sarei sopravvissuta». Amber Heard, la testa bionda scossa dai singhiozzi, ha pianto, davanti al Tribunale di Fairfax, in Virginia. «Ho davvero temuto che sarebbe finita male per me. La violenza era la regola, non l’eccezione. Credo che lui», ha aggiunto fra le lacrime, «Lui si sarebbe spinto troppo oltre, e io oggi non sarei qui». In aula, davanti a quel «Lui» cui un tempo ha giurato amore. Amber Heard, che alla corte ha raccontato di aver passato notti d’inferno, a svegliarsi «in preda al panico», ha detto di averlo amato, Johnny Depp. Ma di quell’amore, suggellato nel febbraio 2015 da nozze private, non sono rimasti che cocci. Recriminazioni, stralci di conversazioni private, rubate dal registratore di un cellulare. Amber Heard ha accusato Johnny Depp di violenza domestica e abusi sessuali. Depp ha negato, spiegando come fosse la moglie, disturbata, a picchiarlo. Cosa, questa, della quale l’attrice americana si è detta sgomenta. «Depp, in preda alla droga, mi ha picchiata, soffocata, mi ha lanciato oggetti», ha ribadito nell’atto ultimo di un processo diventato film, un processo di cui Discovery ha fatto un documentario.

Johnny vs. Amber – Il Processo, in onda su Nove nella prima serata di mercoledì 25 maggio, è una cronaca senza vinti né vincitori, antecedente – per produzione – alla sentenza che il mondo ancora attende. Quella, ha deciso di non coprirla. Arriverà, lo farà il 19 maggio, quando il Tribunale di Fairfax, Virginia, si troverà a stabilire se abbia ragione Depp, che all’ex moglie ha chiesto un risarcimento di 50 milioni di dollari per accuse ritenute false e tossiche, o se, invece, sia la Heard a meritare il contro-risarcimento di 100 milioni di dollari preteso dai suoi legali. Arriverà, dunque, ma il documentario non la includerà. Perché non importa chi abbia ragione, se Depp o la donna che ha conosciuto sul set di The Rum Diary. Quel che conta, nell’ambito del processo, è il processo stesso, la dinamica perversa fra gli attori, un tempo amanti. Amber Heard e Johnny Depp, la cui relazione è stata ragionevolmente privata, hanno stracciato il velo che una volta li ha protetti e vomitato in aula tutto quel che avevano dentro. Dita mozzate, pareti imbrattate con il sangue, una carriera rovinata da accuse giudicate false, e botte, parolacce, calci ai muri e ai mobili, urla, vino, droghe. Oltre il divorzio, chiesto nel 2016, con tanto di comunicato stampa dai toni morigerati a renderlo ufficiale, c’è stato un abisso. E sull’abisso si è consumato il processo più mediatico che Hollywood abbia mai avuto, secondo solo all’eco che ancora risuona quando si pronuncia il nome di OJ Simpson.

Amber Heard e Johnny Depp non hanno risparmiato nulla, nemmeno i messaggi in cui l’attore, che le produzioni hollywoodiane (da Pirati dei Caraibi ad Animali Fantastici) si sono affrettate a scaricare, fantastica di uccidere l’allora moglie, e di «sco**re il suo cadavere bruciato per assicurarmi che sia davvero morta». Tutto si è detto e tutto si è udito, tutto quel che il gossip, da solo, non avrebbe mai potuto raccontare. Il processo fra gli ex coniugi si è trasformato in un franchise, di quelli appassionanti. Un giallo, a tratti. Psicologi hanno assicurato che Johnny Depp menta. Professoroni hanno giurato che sia Amber Heard a soffrire di un «disturbo borderline della personalità». E chi abbia ragione, dove stia la verità, solo loro, attori ed ex amanti, possono saperlo. Ai posteri, insieme all’ardua sentenza del Tribunale, resterà solo una certezza: se Hollywood si fosse impegnata, una storia del genere non sarebbe riuscita a produrla.

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Claudia Casiraghi

(Milano, 1991)

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