Alessandro Preziosi intervista
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Chi era Toto? Lo racconta Alessandro Preziosi

Il mitico attore comico svelato in uno spettacolo che andrà in scena il 14 giugno, a Roma. Il ricavato andrà all’onlus LaSpes per le malattie genetiche.

Per Roma sarà un piccolo evento, perché Totò oltre la maschera non è mai stato nella Capitale e neppure è previsto nel futuro. Mercoledì 14 giugno sarà perciò una serata speciale e per molti aspetti. Primo perché c’è Alessandro Preziosi in scena, accompagnato dalla chitarra di Daniele Bonaviri; poi perché il recital-omaggio ad Antonio De Curtis è pensato per raccogliere fondi per LaSpes, la ONLUS che finanzia borse di studio sulle malattie genetiche rare a giovani ricercatori (laspes.it). L’attore e regista ne è l’ambassador e LaSpes destina al suo scopo il 100% di quanto raccoglie (per prenotazioni laspes.eventi@gmail.com offerta minima 20 euro); da ultimo, lo scenario: il giardino del Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro, vicino a via dei Coronari. E un light drink, prima dello spettacolo, che sarà un ghiotto momento per chi ama incontrare volti noti della tv e della musica.

Preziosi, popolarissimo, con un vissuto teatrale di prima categoria, film e molti successi tv (da Elisa di Rivombrosa che gli diede una popolarità immediata fino al recente Black out. Vite sospese) è napoletano come il grande Totò e come lui sa scavare negli animi e ridere delle pochezze umane. Preziosi è generoso, Totò fu un silenzioso filantropo. È elegante, Totò era nobile. È solito frequentare l’alto e il basso, insieme, perché questo insegna la vita. E Totò fu maestro in questa arte.

Quando è nato lo spettacolo?

«Nel 2018, alla Certosa di Capri. Sbirciando qua e là, ero incappato in un’intervista rarissima di Oriana Fallaci a Totò. Mi resi conto che l’esperienza del suo teatro comico era molto lontana dalla realtà di Antonio De Curtis».

Due mondi lontani.

«Assolutamente. Lo spettacolo inizia con lui che dice: “Permettetemi che mi presenti”. E segue una sfilza di titoli nobiliari. Il personaggio prende forma nel momento in cui viene raccontato al pubblico».

Un recital di successo. Finalmente a Roma.

«Lo abbiamo portato in giro da Nord e Sud dell’Italia, anche a Montecarlo. E ovunque, un successo».

La comicità spesso sconfina con la satira. Satira sociale, politica… E c’è sempre qualcuno che non la gradisce. Che ne pensa?

«La satira che si fa oggi fa il verso alla persona, imita il politico, lo mette in ridicolo. È molto fastidioso questo semplice imitare, Totò aveva fatto sua la massima latina “Castigat ridendo mores” cioè “Corregge i costumi ridendo”. Totò come Alberto Sordi, Nino Manfredi… hanno castigato i costumi senza fare imitazioni».

Lei e Totò, tutti e due napoletani, tutti e due in scena… Affinità elettive?

«Sono affinità dei costumi di un’epoca che non ho vissuto ma che hanno messo le basi del tempo comico. Totò ha scritto il vademecum della comicità napoletana, le inflessioni, i silenzi, le appoggiature di comportamenti che non perdoneresti ad altri mentre fatto da un napoletano, fa scappare un sorriso. Totò aveva un suo metodo…»

Quale?

«Lo chiamava “Il complesso del fratello siamese”: seguiva una persona per strada, cercava di capire la sua anima, entrava in una sorta di simbiosi».

Totò oltre la maschera sta fra due suoi spettacoli “impegnati”: uno su Vincent Van Gogh e il prossimo Re Lear. Bizzarro, no?

«Totò è stata una valvola di grande leggerezza. Compito del dicitore è rievocare, ho scelto Totò perché mi mancano la sua delicatezza, l’ironia, la tenerezza».

È ambassador de LaSpes, la speranza: perché?

«Ci sono delle cose alle quali aderisci ragionando, altre solo per istinto. Per LaSpes è stato così. Raccogliere fondi per finanziare la ricerca significa permettere a persone che brancolano nel buio perché hanno un figlio, un parente affetto da una malattia rara, di vedere un po’ di luce. Solo la ricerca può trovare soluzioni».

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Stefania Berbenni