big tech evasione
(iStock)
Tasse

Le big tech che guadagnano tanto e pagano poco (di tasse)

Da Airbnb, a Google, a Facebook, fino a Netflix. Un miliardo di euro è entrato nelle casse italiane grazie agli accordi del Fisco con le big tech, multinazionali con giri d'affari di oltre mille miliardi l'anno e che fanno pace con l’Agenzia delle Entrate attraverso compromessi. Ma da gennaio arriverà la Global Minimum Tax anche in Italia: eludere sarà sempre più difficile

Poco più di un miliardo e mezzo di euro. Questo è quanto entrato nelle casse italiane grazie agli accordi del Fisco con le big tech per l’evasione contestata nell’arco di 14 anni. Multinazionali che contano un giro d’affari di oltre mille miliardi di euro l’anno e che fanno pace con l’Agenzia delle Entrate a suon di compromessi milionari.

L’ultimo accordo è di ieri. Airbnb pagherà all’Italia 576 milioni di euro per coprire i contestati 770 milioni di tasse non pagate tra il 2017 e il 2021. La piattaforma di affitti avrebbe in quei 4 anni riscosso 3,7 miliardi di euro e non pagato 779 milioni di tasse. Ora pagherà circa 353 milioni per le ritenute dovute e non versate, 174 milioni a titolo di sanzioni amministrative per le violazioni commesse e 49 milioni di interessi.

Prima di Airbnb sono state tante le multinazionali scese a patti col Fisco, dopo l’accusa di evasione. Il primo accordo alla fine del 2015 con Apple. 318 milioni versati all’Agenzia dell’Entrata, per sanare l’evasione di quasi un miliardo di euro per il periodo 2008-2014. Secondo l’accusa in quei cinque anni Apple Italia non ha presentato la dichiarazione dei redditi nella Penisola, risparmiando così circa 897 milioni di Ires.

Il 2017 è stata la volta di Google e Amazon. La prima ha accettato di pagare oltre 306 milioni di euro per coprire i contenziosi relativi a imposte non pagate su un giro d’affari di circa un miliardo di euro tra il 2009 e il 2013. Nella cifra raggiunta con l’accordo erano compresi anche importi del biennio 2014-2015 e di un vecchio contenzioso del 2002-2006. Quindi 306 milioni per sanare tutto dal 2002 al 2013, nove anni. A fine 2017 accordo fatto anche tra Fisco italiano e Amazon, che ha accettato di pagare 100 milioni di euro per una contestazione di evasione di circa 130 milioni di euro tra il 2011 e il 2015.

È toccato poi a Facebook. A novembre 2018 si è chiusa la controversia: 300 milioni di euro contestati (296,7 con esattezza) per il periodo tra il 2010 e il 1016. Pace fatta con 100 milioni di euro pagati dal gruppo di Zuckerberg.
Nel marco del 2022 pace fatta con Netflix che ha pagato 55,8 milioni di euro per il mancato versamento delle imposte dovute Ires e Irap nel corso del quinquennio 2015-2019. E poi, a luglio, c’è stato l’accordo con Booking per 93,3 milioni di euro per l’Iva dovuta per gli anni di imposta dal 2013 al 2022. E infine ieri la pace da 576 milioni di euro con Airbnb.

Non solo. Studio di Mediobanca racconta la differenza sproporzionata tra fatturato e tasse. Le maggiori WebSoft intanto hanno registrato un vero e proprio boom nei primi nove mesi dell’anno. Il fatturato aggregato è aumentato del 10,6% sul 2022 (dati Area Studi Mediobanca sui primi nove mesi del 2023 e triennio 2019-2022). I comparti con maggiore incidenza sul fatturato restano l’e-commerce (31%), la pubblicità (23%) e il cloud (16%). Miglioramento record sui margini, con utili netti che corrono del 46,4%, vuol dire profitto netto giornaliero di oltre 30 milioni rispetto ai 21 milioni del 2022. Nel 2022 il giro d’affari aggregato delle 25 maggiori WebSoft mondiali è stato di 1.792 miliardi, pari al 90% del PIL italiano. Ma a fronte di questi numeri nel 2022 un terzo dell’utile ante imposte dei 25 colossi è stato soggetto a tasse in Paesi a fiscalità agevolata. L’aliquota media del 15% ha creato un risparmio fiscale (per le WebSoft) di 13,6 miliardi di euro nel 2022 (e di oltre 50 nel periodo 2019-2022). Guardano alle filiali italiane dei grandi gruppi il fatturato nel 2022 ha raggiunto i 9,3 miliardi e al fisco sono stati versati 162 milioni di euro.

Da gennaio arriva la Global Minimum Tax, in Europa, Italia compresa. La tassazione verrà esercitata nel Paese del consumatore e non in quello dove ha sede l'operatore e il prelievo sarà al 15%. Stop, dunque, alla concorrenza al ribasso delle aliquote d’imposta. Nel triennio 2019-2021 i quindici colossi del web sono riusciti a non pagare 36,3 miliardi di euro di tasse dovute all’Italia, spostando il fatturato delle controllate italiane in Paesi dove le aliquote fiscali erano più agevolate. Eludere, non evadere, sarà più difficile. Si moltiplicheranno gli accordi come quelli di questi ultimi anni?

TUTTE LE NEWS DI ECONOMIA

I più letti

avatar-icon

Cristina Colli