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(Ansa)
Economia

L'Italia supera con riserva l'esame di Standard & Poor's su conti e manovra

Outlook stabile e giudizio sul debito resta BBB

Il governo di Giorgia Meloni tira un sospiro di sollievo: la manovra prudente ha dato i suoi frutti e l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha confermato il voto BBB del debito italiano con outlook stabile. L’agenzia ammette che il consolidamento di bilancio sarà più lento del previsto dopo al revisione dei target del deficit del governo e prevede un deficit al 5,5% del Pil nel 2023. «Questo in parte riflette l'ulteriore 0,8% di spese che derivano dagli incentivi del superbonus» spiegano gli analisti. Che avvertono: un’attuazione timida, parziale delle riforme strutturali spingerà l’agenzia, in futuro, a rivedere al ribasso la sua pagella. In sostanza l’Italia dovrebbe ridurre il deficit, crescere più velocemente, abbassando così il debito pubblico in rapporto al Pil.

Una promozione con riserva, diciamo. Se l'agenzia avesse deciso di aggiornare l'outlook da stabile a negativo, l’impatto sui titoli pubblici italiani sarebbe stata più grave di quello che probabilmente vedremo lunedì sui mercati

Il voto delle agenzie di rating è importante perché peggiore è il rating sull’affidabilità dello Stato emittente, maggiore sarà il tasso di interesse da riconoscere agli investitori (adesso i Btp decennali offrono più del 4,5%). E quindi una maggiore spesa per i conti pubblici.

Il voto BBB riconosciuto dalla Standard & Poor’s all’Italia significa: «Adeguate capacità di rispettare gli obblighi finanziari. Tuttavia, condizioni economiche avverse o cambiamenti delle circostanze sono più facilmente associabili ad una minore capacità di adempiere agli obblighi finanziari assunti». Il voto massimo, AAA, significa invece che l’emittente ha «eccellenti capacità di onorare le obbligazioni assunte». L'Italia è dunque per Standard & Poor’s nella fascia cosiddetta investment grade, quindi un investimento relativamente sicuro, e che la qualità dei nostri bond non prospetta né declassamenti, né promozioni.

Ma gli esami per l’Italia e per la «Melanomics» non finiscono qui: nei prossimi giorni arriveranno gli aggiornamenti dei rating di altre agenzie, come la britannica Dbrs (27 ottobre) e l’americana Fitch (10 novembre), che attualmente valutano la finanza italiana con un Bbb con outlook stabile come S&P, e poi seguirà l’americana Moody's (17 novembre), la quale dà un voto di Baa3 negativo ai nostri titoli, appena un gradino sopra quelli che vengono definiti «junk», cioè spazzatura. Infatti, se l'Italia passasse a Ba1 entrerebbe nella fascia degli "non investment grade", cioè gli investimenti sconsigliati, di fatto sarebbe un declassamento del debito italiano a spazzatura. Sarà un’altra giornata di passione per la squadra del ministero dell’Economia.Le agenzie di rating guardano agli impegni che l'Italia prenderà per ridurre il proprio debito e stimolare la crescita economica. La quale però non sembra avanzare abbastanza rapidamente e la spada di Damocle di un declassamento di Moody’s pende sul capo del gobverno.

L’andamento dell’economia

Ma come va l’economia italiana? Non tanto male, tutto sommato, tenendo conto del contesto internazionale. È tornata ad essere la lumaca d’Europa: nella Nadef, il governo Meloni ha tagliato le previsioni di crescita del Pil italiano al +0,8% per quest’anno e a +1,2% per il 2024. Ref Ricerche invece stima una crescita di appena lo 0,5% nel prossimo anno.

Ci sono tuttavia anche delle luci. Nell’ultimo report di Ref Ricerche si ricorda per esempio che «negli ultimi tre anni l’Italia è cresciuta più delle altre maggiori economie dell’area euro, un risultato ben diverso da quello che aveva caratterizzato le ultime crisi; a tale andamento si accosta una fase di crescita degli occupati, e un tasso di disoccupazione che è sceso molto (ma anche perché l’offerta di lavoro fatica a seguire la domanda dati i trend demografici sfavorevoli e nei prossimi anni il quadro non potrà che peggiorare); l’inflazione italiana è tutta legata all’energia, al netto di questa il differenziale rispetto agli altri Paesi dell’area euro sarebbe miglliore; nel confronto europeo, inoltre, la performance delle esportazioni italiane è abbastanza soddisfacente, rivelando una tenuta della competitività di prezzo-costi; già nel 2023, con il rientro del costo dell’energia importata, l’Italia ha visto tornare in avanzo le proprie partite correnti».

Insomma. Un’economia che regge e che mostra un buon dinamismo sul fronte dell’export pur in un contesto internazionale difficile.

Bicchiere mezzo vuoto

Sul fronte del bicchiere mezzo vuoto c’è il tema della finanza pubblica. Il governo Meloni ha cercato di esaudire solo alcune delle promesse fatte in campagna elettorale, ma ha dovuto comunque allargare i cordoni della spesa per alleggerire il carico fiscale sulle fasce più basse dei contribuenti e per rinnovare i contratti nel pubblico impiego. Inoltre si è trovato a dover gestire il buco del Superbonus. Ref Ricerche stima dunque che il deficit pubblico italiano risulterà disallineato rispetto ai valori medi degli altri Paesi dell’area euro: per il 2023 prevede un deficit del 5,4% sul Pil, in calo fino al 3,8% nel 2025. Il fatto di conteggiare i debiti del Superbonus per la verità non era stato programmato, deriva dalla decisione dell’Eurostat di riclassificare la competenza economica dei superbonus, anticipandola al momento in cui le famiglie ne traggono beneficio, rispetto agli anni successivi. Ma paradossalmente questa decisione di Eurostat ha determinato un vantaggio per i conti dell’Italia, visto che ha incrementato il deficit di un periodo in cui erano ancora sospese le regole europee sui saldi di bilancio, riducendolo simmetricamente ne periodo successivo, quando torneranno a valere i vincoli europei.

Quindi il deficit pubblico italiano potrà scendere i prossimi anni, poiché non ci saranno le zavorre del superbonus e dalle misure contro il caro-energia. Sull’altro piatto della bilancia peseranno di più gli interessi sul debito (gli acquisti di titoli pubblici della Bce sono finiti e i tassi sono saliti), le maggiori spese per la pubblica amministrazione e le spese per investimenti legati ai programmi del Pnrr. «La finanza pubblica italiana torna quindi a muoversi lungo un “sentiero stretto”» sottolineano gli economisti di Ref Ricerche.

È dunque probabile che la discesa del deficit pubblico sarà lenta e insufficiente a portare su

un sentiero decrescente il rapporto fra debito pubblico e Pil. Non a caso le politiche del governo incorporano un cospicuo, e altrettanto incerto, ammontare di privatizzazioni. Per il debito pubblico, Ref Ricerche stima che si assesti al 138,6% nel 2023 e al 139,4 nel 2025.

Che cos’è Standard & Poor’s

Per concludere, spieghiamo in poche parole che cos’è questa famigerata Standard & Poor’s che determina i destini dei nostri titoli di Stato: si tratta di una società privata con sede a New York, fondata nel 1941, il cui mestiere è fornire una valutazione del credito di società e di Stati: questa valutazione avviene attraverso una determinata classificazione ed è importante perché permette agli investitori di stimare quanto l’emittente di un certo titolo è affidabile e di conseguenza se il prezzo e il tasso offerti sono corretti o no. Per Standard & Poor’si giudizi variano da AAA, valore che indica il grado più alto di solvibilità, alla D, con cui viene identificato lo stato di insolvente. L’emissione del rating è un’operazione complessa: i voto viene comunicato alla società, banca o Stato richiedente, che può appellarsi, fornendo informazioni aggiuntive e chiedendo di avere un'ulteriore analisi, fino a giudizio finale. E possono anche nascere controversie.

Standard and Poor's non è quotata, appartiene al gruppo editoriale McGraw-Hill ed è nota anche per i suoi indici di borsa: come l’S&P 500 per gli Stati Uniti o l’S&P-MIB per l'Italia.

voto bbb: Adeguate capacità di rispettare gli obblighi finanziari. Tuttavia, condizioni economiche avverse o cambiamenti delle circostanze sono più facilmente associabili ad una minore capacità di adempiere agli obblighi finanziari assunti.TUTTE LE NEWS DI ECONOMIA

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Guido Fontanelli