Sapelli: «Sul Recovery Fund serve chiarezza su tempi e fondi»
(Ansa)
Economia

Sapelli: «Sul Recovery Fund serve chiarezza su tempi e fondi»

Per l'economista l'accordo raggiunto al Consiglio Europeo è positivo, sulla carta. Ma ci sono troppe incertezze e tempi lunghi

L'accordo sul Recovery Fund non c'è e l'Italia fa male a cantare vittoria. Dal Consiglio europeo del 23 aprile il nostro Paese è uscito sostanzialmente con un niente di fatto in mano.

Perché se è vero che tutti i capi di Stato e di Governo sono concordi nel definire il pacchetto di finanziamenti alla ripresa economica post Coronavirus "Urgente e fondamentale" è anche vero che al momento non c'è una cifra complessiva da erogare, non si sa con che criterio verrà distribuito il fondo e soprattutto non c'è l'accordo tra finanziamenti a fondo perduto (quelli che chiedono i paesi del sud dell'Unione, Italia compresa) e prestiti (come invece vorrebbe il nord del continente).

«Tutte le misure – spiega a Panorama il Professor Giulio Sapelli, economista - se vogliono essere effettivamente efficaci, cioè se sono pensate per non fare aumentare ancora di più il debito, ma per sostenere la ripresa, devono essere collegate a due misure che la Commissione dovrebbe approvare in maniera preventiva».

La prima - già fatta - è che la Banca Centrale Europea emani una disposizione in cui possa ottenere anche i Titoli di Stato delle nazioni di cui tali Titoli sono stati dichiarati dalle agenzie di rating "titoli spazzatura" possano essere sostenuti dalla BCE. Se non passa questo concetto il pericolo è che il giorno dopo che le agenzie dichiarano "young bond" i titoli di uno stato la Bce non possa più sostenerli.

«Il secondo – prosegue l'economista - e più importante aspetto riguarda il Mes senza condizionalità e la creazione del Recovery Fund che non sia soltanto un'anticipazione di una ristrutturazione del debito. La precondizione fondamentale perché questo accada è che tutto ciò che viene fatto venga fatto invocando l'applicazione dell'articolo 122 del trattato per il funzionamento dell'Unione Europea, il cosiddetto PSUE del 2012, in cui si dice chiaramente che la Commissione può emettere debito, cioè sospendere il patto di stabilità, qualora il Consiglio Europeo dichiari che siamo in uno stato di catastrofe. Se non passa questo riferimento all'articolo 122 tutte le chiacchiere sul Mes senza condizioni e sul Recovery fund sono parole senza senso».

Ora la palla passa alla Commissione Europea che si riunisce il 6 maggio e che a sua volta rimbalzerà il tema Recovery Fund all'Eurogruppo del 18 maggio. Le Germania, la prossima a guidare il Consiglio europeo, sembra intenzionata ad allentare un po' le maglie anche se, secondo il professor Sapelli, questo potrebbe avere delle conseguenze le cui implicazioni sono tutte da definire:

«La Germania è decisa ad allentare la tensione e ad avviarsi perso la mutualizzazione del debito soprattutto attraverso questo nuovo fondo che deve ancora essere chiarito da un punto di vista tecnico ma che per funzionare dovrebbe consentire lo sforamento del debito oltre i parametri di Mastricht. Bisognerà vedere, però, se i tedeschi non cadranno nella famosa favola di Esopo con la rana che è tranquilla di portare sulle spalle lo scorpione e poi ne resta punta. Spero che la Germania non sia ancora una volta essa stessa vittima dell'ideologia tedesca».

All'interno del piano europeo, però, resta ancora farraginoso il ruolo del MEe, ovvero di quella cornice finanziaria pluriennale in cui opera la Commissione che dovrebbe essere rafforzata col Recovery Fund.

«Il cosiddetto Mes senza condizioni non esiste perché è un trattato internazionale vincolato al suo interno da dei meccanismi di funzionamento simili a quelli di una banca privata tra cui c'è il fatto che se si prendono dei soldi dal Mes si è obbligati a rispettare le regole che lo stesso Mes impone. Per realizzare un Mes senza condizioni bisogna farlo, in gergo giuridico, ex articolo 122 soltanto se si dichiara che siamo in uno stato catastrofico. Il Mes senza condizioni non è il Mes, è un'altra cosa. Devono fare un altro trattato internazionale, per carità non ci vuole nulla, basta riunirsi e stipulare un altro trattato, ma che lo chiamino in maniera differente e che soprattutto ammettano che questo ipotetico trattato non esiste».

«Il Recovery Fund – sostiene ancora il Professor Sapelli – è, invece, un'ottima idea perché si basa su un aumento del bilancio dell'UE che può arrivare anche molto in alto, almeno a 2000 miliardi come hanno fatto gli Stati Uniti. Bisogna però creare questo fondo con uno statuto e dei regolamenti chiari e dire che si tratta di investimenti cioè sovvenzioni e non debiti. E' l'unico modo che si ha per inventarsi la maniera di fare arrivare soldi a imprese e banche visto che la Bce non può stampare moneta; l'unica cosa che può fare è essere garante per le banche dei prestiti che faranno alle imprese e alle famiglie».

La sensazione è che l'Europa dalla riunione del 23 aprile sia uscita sempre più divisa tra un nord del continente che non desidera farsi carico del debito comune e il sud che ha disperato bisogno di sostegno economico e politico.

«In futuro – conclude Sapelli - ci sarà sempre più differenza tra nord e sud dell'Unione, ma qui le cose sono molto chiare: se non facciamo il Recovery fund salta l'euro e l'Unione muore. Quello che bisogna fare, per mantenere l'euro è cambiare la politica economica europea mutualizzando il debito e vincere una battaglia culturale con la Germania e l'Olanda convincendoli a farlo.

La Germania, dal mio punto di vista, è già pronta, ma è una questione di tempo. Io sono convinto che su pressione della grande industria tedesca la Merkel cederà alla mutualizzazione. Dobbiamo fare di tutto perché l'euro non salti. Se l'euro salta è una catastrofe di proporzioni inimmaginabili. Qui siamo di fronte al pericolo concreto che scoppi la prima guerra mondiale economica, c'è pericolo di un nuovo "attentato a Serajevo" e questa volta l'attentato che fa scoppiare la prima guerra mondiale potrebbe essere la caduta dell'euro».

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Barbara Massaro