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Economia

Senza rame la transizione energetica è una costosa fantasia

Sul tema dell'energia, dell'economia e del green ci sono spesso annunci smentiti dalla realtà delle cose

Il questi anni ci è stato spiegato che l’energia eolica e solare si sarebbero potute integrare nelle nostre reti elettriche. Molti esperti hanno preferito non esprimersi quando negli ultimi 20 anni sono stati sviluppati e promossi obiettivi "verdi" irrealistici. Probabilmente la loro voce avrebbe contribuito a fornire una base più realistica per lo sviluppo futuro. Ma com’è ormai evidente, oggi, parlare in termini realistici, o semplicemente criticare, ciò che viene percepito come "green" rischia di proiettare gli incauti nell’occhio del ciclone mediatico. Le conseguenze a breve termine, anche di un semplice bagno di realismo, sull'impatto delle iniziative "green", sarebbero state immediate ed aspre mentre i benefici nel denunciare apertamente i potenziali problemi di affidabilità della distribuzione dell’energia sarebbero stati più lontani nel tempo.

Ma il tema in questi ultimi mesi è diventato giocoforza d’attualità, perché i problemi connessi alla penetrazione di eolico e fotovoltaico nei mix energetici europei comincia ad essere non più eludibile. Non è che oggi, di colpo, le nostre reti non funzionino o siano meno intelligenti: semplicemente oltre a coloro che volevano nascondere i costi dell'aggiunta indefinita di energie rinnovabili alla rete oggi ampi settori dell’economia puntano sulle opportunità economiche che questa situazione offre.

Imperativa quindi la necessità di trattare il “problema” delle reti elettriche e naturalmente dei colossali investimenti necessari per portare il Pianeta sulla strada del nirvana economico e climatico. Già, il Pianeta, non l’Occidente, perché se i nostri sforzi di decarbonizzazione vengono risolti da prodotti asiatici basati sul carbone il risultato, in termini di emissioni, è a somma zero mentre in termini economici è disastroso: ovviamente per noi.

Per costruire le reti serviranno rame ed alluminio e Jerome Leroy, di Nexans, uno dei maggiori produttori globali di cavi, ha sottolineato che, se anche le previsioni suggeriscono che la capacità produttiva crescerà fino a 27 milioni di tonnellate all'anno entro la fine di questo decennio, la domanda potrebbe salire fino a 35 milioni di tonnellate e quindi un deficit di approvvigionamento potrebbe materializzarsi già l'anno prossimo.

Inoltre stime, come quelle dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) o di BloombergNEF, calcolano che le reti elettriche attraverso il Pianeta, per portarci alla neutralità climatica entro il 2050, richiederanno circa 400 milioni di tonnellate di rame. Le riserve globali di rame sono poco più di 850 milioni di tonnellate e quindi la metà servirebbe solo per adeguare le reti, o per dotarne chi non ne ha. Di fronte a questa enorme domanda di rame le previsioni di crescita della produzione globale sono numericamente imbarazzanti.

L’International Copper Study Group (ICSG) nel 2022 si aspettava per quest’anno un surplus di mercato di 155.000 tonnellate ma a maggio di quest’anno hanno cambiato segno passando ad un deficit di 114.000 tonnellate. Ma l’aspetto macroscopico di questa statistica è la sua dimensione: in un mercato globale annuo del rame di oltre 24 milioni di tonnellate che significato hanno 114.000 tonnellate? Più una questione di lana caprinache un’analisi. L'ecologizzazione dell'economia, l'espansione delle reti e la produzione di energia rinnovabile per raggiungere gli obiettivi climatici globali richiedono molto più.

Inoltre è necessario distinguere tra offerta globale e mercato globale del rame: spesso gli analisti non si preoccupano di "chi" possiede il rame, ma valutano solo la quantità dell’offerta globale. Ma il rame estratto, che è bloccato da accordi di offtake, non entrerà nell'offerta globale: non raggiungerà mai gli Stati Uniti o l'Europa andrà piuttosto nelle fonderie cinesi, sudcoreane o giapponesi per soddisfare la domanda industriale di quei paesi perché oggi la produzione delle principali miniere globali è bloccata da importanti accordi con quei paesi.

La miniera panamense di Cobre Panama, dove un referendum popolare sta per decidere del suo futuro, ha un accordo per spedire 122.000 tonnellate annue per i prossimi di 15 anni, circa metà della sua produzione di concentrati di rame, alla fonderia sudcoreana LS Nikko. La produzione della Fase 1 della grande miniera di Kamoa Kakula nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) è destinata alla Cina: equamente divisa tra Zijin Mining e CITIC Metal. JECO è una joint venture giapponese tra Mitsubishi Nippon Mining & Metals e Mitsubishi Materials Corp che possiede il 12,5% della cilena Escondida, la più grande miniera di rame al mondo, mentre Sumitomo Metal Mining e Sumitomo Corp, con sede a Tokyo, hanno una partecipazione del 30% nell’ampliamento della miniera di Quebrada Blanca di Teck Resources.

La Cina è nel bel mezzo di un'espansione vertiginosa della sua industria del rame che sta ridefinendo i flussi globali del metallo rosso. La domanda di rame raffinato continua a crescere con un aumento del 5% a livello globale e del 12% in Cina dove la sua quota di produzione mondiale sta realizzando una crescita record quest'anno a seguito dell'esplosione della costruzione di nuove fonderie.

Produzione cinese di rame raffinato. Dati: National Bureau of Statistics.

Quello che ormai risulta evidente a ogni analista del settore è che non ci sarà modo per soddisfare la domanda di rame nei prossimi 10 anni per supportare la transizione energetica e l'azzeramento delle emissioni di carbonio. Non ci sono abbastanza miniere operative ma soprattutto non ci sono nuove scoperte di giacimenti importanti.

Inoltre la scarsità (leggi il report Materie prime: il costo energetico della scarsità amicidellaterra.it/images/quindicesimaefficienza/Rapporto_Brussato_XV_Conf_Eff.pdf presentato alla XV Conferenza Nazionale sull'efficienza energetica degli Amici della Terra) crea crescenti difficoltà al settore che si sommano alla necessità di conformarsi a requisiti ambientali sempre più stringenti ed al crescente nazionalismo delle risorse. Le compagnie minerarie globali si stanno concentrando sulle operazioni M&A (Mergers and Acquisitions): ma le operazioni di acquisizione o di fusione non producono rame. Costruire miniere, invece di comprarle, è ancora un rischio troppo elevato, i prezzi non sono abbastanza alti per coprire l'aumento dei costi e della molteplicità di rischi che circonda le grandi operazioni greenfield.

Secondo Goldman Sachs, l'approvazione normativa per nuove miniere di rame è scesa al livello più basso in un decennio: un segno inquietante di ciò che accadrà, per costruire una miniera potrebbero servire fino a 20 anni. Nel frattempo le miniere stanno invecchiando, stanno diventando più profonde ed il minerale sta diventando di qualità inferiore. Kamoa Kakula la più recente e promettente miniera di rame entrata in produzione ha iniziato le fasi di prospezione circa quindici anni fa. Oyu Tolgoi, la grande miniera di rame nel gelido deserto del Gobi, ha già vent’anni e sta iniziando ora la sua produzione.

A tutto questo si aggiunge una crescente domanda di rame dei paesi in via di sviluppo, le cui popolazioni vogliono, come dice il nostro Carosone, “Fa' L'Americano”. Ma ogni americano, consuma nella sua vita oltre 400 chilogrammi di rame, e con una popolazione globale verso i nove miliardi è evidente che tutto il metallo rosso di questo Pianeta potrebbe non bastare.

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Giovanni Brussato