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(Ansa)
Economia

L’oro non è un investimento: è denaro

Con la crescita dei tassi e le crisi dei mercati anche il metallo pregiato sta vivendo una fase calante. Ma le banche centrali ne stanno accumulando tonnellate...

Le attività fisiche rispetto alle attività finanziarie hanno un valore intrinseco dovuto alla loro sostanza ed al loro possesso. Le materie prime forniscono una diversificazione del portafoglio di investimenti in quanto sovente si muovono nella direzione opposta rispetto all’andamento delle attività finanziarie quali azioni, obbligazioni o fondi comuni di investimento. In particolare l’oro, che è negativamente correlato rispetto ai prodotti finanziari: il valore relativo dell’oro aumenta durante i periodi di inflazione e guerra.

E in un periodo come quello attuale, in cui l'inflazione è cresciuta esponenzialmente, è lecito chiedersi come mai, il metallo giallo non abbia seguito il medesimo trend. La risposta più semplice è nei rialzi dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, in particolare della Federal Reserve, Fed, la banca centrale americana, che si sono succeduti aggressivamente nel 2022.

Di conseguenza visto che l’oro non offre interessi molti investitori spostano i propri risparmi verso titoli che offrano loro dei rendimenti. Questa tendenza indebolisce la domanda del metallo giallo che a sua volta trascina il prezzo verso il basso. Ma per comprendere come stiano effettivamente le cose è utile osservare ciò che hanno fatto, più che detto, le banche centrali nell’anno appena concluso. Perché la dice lunga su quale sia stata, quest’anno, la tendenza in atto a livello globale: le banche centrali hanno accumulato riserve auree a un ritmo mai visto dal 1967.

Il mese scorso il World Gold Council, WGC, ha dichiarato che le banche centrali hanno acquistato 399 tonnellate di oro nel terzo trimestre: di gran lunga il massimo di sempre in un singolo trimestre. Secondo il WGC, le banche centrali di tutto il mondo hanno aggiunto altre 31 tonnellate di oro alle riserve ufficiali in ottobre, portandole al loro livello più alto dal 1974. La Cina, nota per l’opacità delle sue statistiche, riserve auree incluse, ha rivelato un aumento, per la prima volta da settembre 2019, di 32 tonnellate d’oro per un valore di circa 1,8 miliardi di dollari. Le sue scorte ora si trovano a 1.980 tonnellate, al sesto posto nella classifica dei paesi con le più grandi riserve auree nazionali ufficiali, che comprende anche il nostro Paese.

Nel nuovo anno, quindi, è consigliabile seguire un vecchio detto: when you are in Rome do as the romans do. Poiché appena le banche centrali, e la Fed in particolare, si renderanno conto che non possono continuare ad aumentare aggressivamente i tassi d’interesse senza spingere l'economia in recessione, e sospenderanno le politiche di rialzo dei tassi, daranno il via alla prossima impennata del mercato dei metalli preziosi. E la Fed sarà probabilmente costretta ad allentare la sua politica monetaria restrittiva nel nuovo anno, poiché si trova di fronte ai segnali di un crollo della spesa dei consumatori e ad una spirale discendente dell'economia statunitense.

Ci sono altri segnali che suggeriscono un prossimo rialzo dei metalli preziosi. Ma prima atteniamoci ad una regola base del mercato ed analizziamo la disponibilità della materia prima. Secondo il WGC, ad oggi sono state estratte circa 190.000 tonnellate d’oro e circa due terzi sono state estratte negli ultimi decenni. Questo trend di crescita esponenziale è in linea con molti altri minerali, il cui tasso di estrazione, in alcuni casi, è aumentato da tre fino anche a dieci volte in pochi decenni. Secondo il Servizio Geologico degli Stati Uniti, USGS, ci sono ancora circa 50.000 tonnellate di riserve auree a livello globale che possono essere estratte a livelli economicamente sostenibili.

Perché la tendenza dei depositi d’oro, che coincide con quella dei metalli in genere, a cui stiamo assistendo da decenni, è quella di un progressivo calo della qualità delle riserve rimanenti. Il tenore medio delle riserve auree, secondo i dati delle prime dieci compagnie minerarie, è ormai in un declino secolare. Solo in questi ultimi vent’anni siamo passati da un equivalente oro di 2,3 grammi per tonnellata del 2003, al tenore medio attuale di circa 1,5 grammi per tonnellata. Inoltre ci sono state poche nuove scoperte di depositi d'oro, segnale evidente che la maggior parte del metallo facilmente estraibile è stato esaurito. I depositi rimanenti si trovano in località remote, privi di infrastrutture, che spesso richiedono spese in conto capitale straordinariamente elevate. Oppure si trovano in paesi ad alto rischio geopolitico con governi suscettibili di espropriare la miniera o imporre altre forme costose di nazionalismo delle risorse. Il risultato è che le riserve del metallo giallo delle prime dieci compagnie minerarie sono diminuite del 33% negli ultimi 15 anni.

Inoltre estrarre il prossimo oro costerà di più perché la scarsità del tenore dei giacimenti richiede più energia per estrarre la stessa quantità di minerale di prima. E questo aspetto è destinato a riverberarsi sul prezzo del metallo giallo. Storicamente il declino della produzione è coinciso con significativi balzi in avanti del suo prezzo: negli anni ’70 un calo della produzione del 19% coincise con un aumento delle quotazioni di oltre il 1.500%, analogamente all’inizio di questo millennio un calo dell’11% innescò un aumento del 500%. Oggi veniamo da due anni di calo della produzione dovuto anche al fatto che le compagnie minerarie, che tradizionalmente si concentravano sui metalli preziosi, stanno reindirizzando parte del loro capitale verso i cosiddetti “metalli delle batterie” ed altri metalli legati all'economia green.

Un ulteriore segnale viene dalle scorte fisiche. Per tutto l'anno c'è stata una domanda record di oro e argento fisici, che sta svuotando i caveau di New York e Londra dove i metalli sono immagazzinati dalla borsa Comex e dalla London Bullion Market Association. Analoga tendenza, per inciso, si sta manifestando per i metalli di base: il London Metal Exchange entrerà nel 2023 con le scorte più basse scorte degli ultimi 25 anni. Secondo molti analisti, nel mercato londinese si sta creando una situazione senza precedenti, con un’implacabile emorragia di una delle più grandi scorte di argento del mondo. Tanti contratti inadempiuti ed il calo di nuovi contratti sono un segnale inequivocabile: non c'è metallo disponibile. L'oro segue, con un leggero ritardo, le stesse dinamiche dell'argento ed è un mercato più vasto in cui stanno iniziando ad emergere le medesime tendenze.

Da ultimo mentre governi e banche centrali sostengono che il passaggio a una società senza contanti aiuterà a prevenire il crimine e porterà benefici al cittadino medio, molti sono inclini a ritenere che la vera motivazione dietro la "guerra al contante" sia un maggiore controllo del governo sull'individuo. Una delle ragioni legate agli investimenti in oro e argento risiede anche nella scarsa considerazione nei confronti delle valute governative. Nel corso della storia, l'oro ha mantenuto il suo valore in termini generali con variazioni modeste. Al contrario le valute legali hanno perso potere d'acquisto: dal 1970 il dollaro ne ha perso il 98% rispetto al metallo giallo. Forse, per stimare le prospettive per l'oro nel nuovo anno, è più realistico non tanto prevedere quale sarà il prezzo dell'oro nel 2023, ma cosa accadrà all’euro, al dollaro, ed alle altre principali valute legali nel corso del nuovo anno.

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Giovanni Brussato