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(Ansa)
Economia

Vola il Made in Italy, sempre meno italiano

I prodotti italiani hanno raggiunto i 21 miliardi di fatturato ma sono realizzati sempre più da personale straniero

Made in Italy, ma non proprio. Il 15 aprile si festeggia con una giornata (anzi una settimana) di iniziative il settore che l’anno scorso ha superato i 21 miliardi di euro. Ma nell’agroalimentare la manodopera invisibile e che ricopre un ruolo rilevante e insostituibile è al 50% fatta da lavoratori stranieri, in gran parte sommersi.

Le esportazioni di prodotti italiani nel 2023 sono cresciute dell’8% rispetto al 2022, oltre 21 miliardi di euro. I dati, alla vigilia della nuova giornata ideata dal governo, sono stati diffusi da Unione italiana food (su dati Istat sul commercio estero 2023) che riunisce 530 industrie italiane con oltre 900 marchi del mondo alimentare e 20 settori. L’Italia è al primo posto in Europa per valore della produzione alimentare e numero di occupati. Nel mondo sono stati portati 3miliardi di piatti di pasta, 55 miliardi di tazzine di caffè, 1 miliardo di chilogrammi di dolci, 345 mila tonnellate di surgelati. Il segno positivo c’è davanti a tutti i vari settori: brodi, minestre, salse e sughi (+20,7%), chips e snacks (+22,4%), confetture e le conserve di frutta (+11,2%), prodotti da forno (+13,2%), prodotti della panificazione (+12,7%), vegetali in aceto, salamoia, olio e altri (+12,6%) e integratori alimentari (+10%).

Sono i numeri di un settore florido dunque. Ma, guardando in particolare al Made in Italy agroalimentare, emerge un dato interessante. 600 miliardi di fatturato e 64 miliardi di export nel 2023 con oltre il 50% di manodopera straniera a reggere e portare nel mondo i prodotti agroalimentari italiani. I dati ufficiali parlano di 362mila lavoratori immigrati a coprire il 31,7% delle giornate di lavoro registrate. Ma c’è un esercito invisibile di lavoro sommerso fatto da immigrati e registrazioni fittizie. E così i numeri reali sono molto più alti e si supera il 50% stando al rapporto “Made in Immigritaly” presentato dalla Fai- Cisl. Una situazione trasversale in tutto il Paese: dal Parmigiano Reggiano prodotto grazie al fondamentale apporto di lavoratori indiani fino al pomodoro e agli agrumi che vengono dal Sud Italia. E in molte imprese del comparto carni i lavoratori stranieri superano anche il 50% dei dipendenti. Il lavoro migrante arriva soprattutto da Romania, Marocco, India, Albani e Senegal. Questi ultimi sono raddoppiati negli anni. Tra i nove casi studiati salta all’occhio la Puglia, con 157mila lavoratori stranieri in agricoltura. Il rischio sfruttamento della manodopera immigrata è ovviamente alto: quasi la metà dei provvedimenti giudiziari e delle inchieste fatte tra il 2017 e il 2021 hanno riguardato il lavoro nei campi. E sono in aumento anche al Centro-Nord. Il caporalato ovviamente ma anche nuove forme di appalto e subappalto illecito. “I dati dimostrano il carattere essenziale del contributo immigrato al Made in Italy. Bisogna uscire dalle banalizzazioni del fenomeno migratorio come invasione” – ha commentato Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cisl.

Oltre ai lavoratori stranieri ci sono anche gli imprenditori agricoli stranieri. Sono 28mila, il 3% del totale. Sei su dieci vengono da Paesi extra Ue e nel 43% si tratta di imprenditrici.

Ecco, dunque, che il 15 aprile celebrando il Made in Italy bisogna ricordare l’intero settore e tutti i protagonisti di un successo da 21 miliardi di euro.

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Cristina Colli