Ilva taranto
(Fabrizio Villa/Getty Images)
Industria

Lo Stato assistenzialista si ricompra Ilva

Con più di un miliardo Invitalia si prende in due anni il controllo dell'azienda siderurgica. Manca però un piano industriale serio. È solo salvaguardia dell'occupazione, a spese nostre

Lo Stato entra nell'Ilva, anzi, rientra. Dopo essere uscita nel 1995 ed aver venduto al gruppo Riva l'Italia si «ricompra» la principale azienda legata all'acciaio del paese (ed una delle principali d'Europa). L'investimento previsto supera il miliardo di euro e porterà prima ad un ingresso al 50% per arrivare nel 2022 al controllo totale e all'uscita di ArcelorMittal. Ecco. Gli indiani in questa fase di transizione investiranno anche loro, ma solo 70 milioni. 70 i privati, più di un miliardo lo Stato. Già questo spiega cosa ci sia dietro e dentro l'accordo.

Un accordo che arriva nel giorno in cui la Corte d'Appello di Milano ha confermato l'assoluzione per Fabio Riva, uno degli eredi della famiglia che controllava Ilva, accusato di bancarotta fraudolenta. Per il Tribunale di Milano il «fatto non sussiste».

La cosa però ancora più interessante dell'intesa riguarda il «piano industriale». Nel comunicare l'accordo i ministri Gualtieri e Patuanelli hanno spiegato che «l'accordo prevede un significativo impegno finanziario da parte dello Stato italiano e rappresenta un passo importante verso la decarbonizzazione dell'impianto di Taranto attraverso l'avvio della produzione di acciaio con processi meno inquinanti» e che «il piano industriale aggiornato concordato tra AM InvestCo e Invitalia prevede investimenti in tecnologie per la produzione di acciaio a basso utilizzo di carbonio, tra cui la costruzione di un forno ad arco elettrico di 2,5 milioni di tonnellate». In più si afferma che «il piano industriale, che mira a raggiungere 8 milioni di tonnellate di produzione nel 2025, contempla una serie di misure di sostegno pubblico, tra cui il finanziamento all'occupazione finanziato dal governo». Ecco occupazione.

La verità per Ilva come per Alitalia è che non esiste un piano industriale vero e proprio. Non esiste un'idea reale, che tenga conto del mercato mondiale, dei suoi costi e delle sue richieste. L'unico, vero piano industriale che abbiamo è la salvaguardia dell'occupazione, cioè la salvezza dei posti di lavoro.

Sia chiaro: preoccuparsi delle oltre 10mila persone (e relative famiglie) che lavorano a Taranto e non solo come preoccuparsi di piloti, steward e personale di Alitalia è di sicuro corretto. Ma la risposta non può essere sempre e solo che «paga lo Stato», perché di questo si tratta. Perché è così che si creano quesi secchi bucati in cui il governo immette liquidi e liquidi. Per Alitalia siamo attorno ai 10 miliardi e per Ilva rischiamo di seguire la stessa strada.Errori legati alla debolezza del nostro governo che ha una sola idea economica: statalismo ed assistenzialismo.

Ps. Nella notte poi arrivano novità sulla vicenda Autostrade. L'ultima promessa era che la partita sarebbe stata chiusa entro la fine dell'anno. Poche ore fa la notizia del rinvio a gennaio. E se poi dovesse cambiare il governo si ricomincerebbe da capo.

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Andrea Soglio