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(Ansa)
Economia

Dietro lo stop al Superbonus ci sono previsioni errate

Le associazioni dei costruttori attaccano la decisione del Governo: «A rischio 100 mila posti di lavoro». Ma a rischiare, senza stop, sarebbero stati i conti del paese

Stop alla cessione del credito, dello sconto in fattura e dell’acquisto dei crediti incagliati da parte degli enti locali. Ieri sera il governo di Giorgia Meloni ha dunque deciso di tirare il freno a mano sul superbonus e più in generale su tutti i bonus edilizi concessi negli anni scorsi. La novità sta però provocando un vero e proprio tsunami nel settore dell'edilizia: “Ci sono circa 8 miliardi di liquidità bloccati da mesi che mettono in pericolo la sopravvivenza di 40mila imprese del settore delle costruzioni: si rischia seriamente di bloccare 100mila cantieri e generare incertezza per un milione di cittadini. Le storture del superbonus vanno corrette ma non così”, sostengono la Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa), l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) e le altre associazioni di categoria che, in queste ore, stanno evidenziando le gravi conseguenze del decreto adottato ieri in Cdm e pubblicato in Gazzetta Ufficiale con effetto immediato da oggi.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, le nuove norme decise dal governo Meloni non solo non risolvono il problema dei circa 15 miliardi di euro di crediti fiscali incagliati, che stanno bloccando 90mila cantieri, ma mettono anche a rischio fallimento 25.000 aziende, con la consequenziale perdita di 130.000 posti di lavoro. Ma come si è potuti arrivare a questa situazione? A causa di previsioni errate. I dati di Unimpresa mostrano che il volume d’affari di tutti i bonus edilizi ammonta a 110 miliardi di euro, 38 miliardi in più (+53%) rispetto ai 72 stimati in partenza. Il superbonus 110% ha generato, da solo, fatturazioni per 61 miliardi, 25 miliardi in più rispetto ai 36 stimati in partenza; un errore del 70%. Sviste di previsioni anche per gli altri bonus che nel totale hanno creato un business per 49 miliardi, 13 in più (+36%) rispetto ai 36 stimati. Se dunque da una parte è sicuramente vero che l’aver fatto, in passato, stime poco accurate se non del tutto sbagliate ha creato nel tempo delle voragini nel bilancio dello Stato, dall’altro, le ultime decisioni del governo portano a delle inevitabili conseguenze sul tessuto edile italiano di cui si dovrà far carico, per evitare di veder fallire tutte quelle aziende che fino ad oggi hanno operato seguendo le norme in vigore. Settore che tra l’altro pesa non poco sul Pil italiano. Secondo gli ultimi dati dell’Ance nel 2021 il contributo del mondo delle costruzioni alla formazione del prodotto interno lordo è stato pari al 27% della crescita registrata. Percentuale importante che fa capire come l’onda d’urto che travolgerà il settore dell’edilizia ricadrà inevitabilmente anche sulla crescita economica italiana che stando alle ultime stime pubblicate il 13 febbraio dalla Commissione europea si dovrebbe fermare allo 0,8%, registrando di fatto una flessione del 3,1% rispetto al 2022 (previsione fatta senza tener conto delle ultime decisioni del Cdm e delle possibili ripercussioni economiche).

Una situazione dunque di difficile gestione su cui anche Confcommercio - Imprese chiede l’individuazione di “soluzioni strutturali alla crisi di liquidità delle imprese che non sono riuscite a cedere a terzi i crediti d’imposta per la saturazione del mercato e per le quali ora viene anche meno la possibilità di cedere questi crediti alle pubbliche amministrazioni”.Temi che saranno al centro dell’incontro di lunedì tra il governo e le associazione del settore anche in ottica Pnrr e futuri progetti green.

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Giorgia Pacione Di Bello