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Economia

La Germania in crisi non è più la locomotiva d'Europa

I numeri di una crisi che non solo legata alla protesta dei trattori, ma ad un malessere anche sociale oltre che politico di Scholz e del suo governo

La locomotiva d’Europa non tira più. La Germania sta perdendo lo scettro di superpotenza industriale per cause economiche, politiche e un clima da immobilismo e sfiducia nelle istituzioni. Il crollo della manifattura (il triplo delle attese), l’Ocse che la colloca seconda nella classifica delle peggiori previsioni di crescita nel 2024 tra i Paesi G20 (peggio farà solo l’Argentina), ondate continue di scioperi che non fanno più partire e arrivare in perfetto orario treni e aerei che per decenni sono stati simbolo del rigore tedesco. E una continua contestazione al governo, come dimostra l’ondata di fischi al cancelliere Scholz alla partita della nazionale tedesca agli Europei di pallamano.

Il declino della Germania è iniziato nel 2017, quando ha preso il via il calo della produzione industriale. Ma ora l’accelerazione è stata davvero rapida e c’è chi parla di “rischio deindustrializzazione”. Gli ultimi dati parlano di un 3% annuo. Con picchi nell’industria chimica (-7,6%). A pesare sono stati la crisi energetica e il peso della concorrenza. E la conseguenza è il malcontento sfociato negli scioperi delle ultime settimane, come quello dei lavoratori di Lufthansa che hanno lasciato a terra 100 mila passeggeri.

Le sanzioni contro la Russia hanno portato Berlino, che basava il proprio modello industriale sul gas di Mosca, a dover trovare nuove strade. E così il Pil del 2023 ha perso lo 0,3%, il peggior dato di tutta Europa.

C’è poi il fattore Cina. Il rallentamento economico di Pechino ha indebolito la domanda di beni made in Germany (quindi calo dell’export) e ha aumentato la concorrenza a basso costo di settori chiave per la transizione climatica. A questo si aggiunge una burocrazia troppo lenta e richiedente, che rallenta le aziende, anche quando sono pronte a investire.

Un’implosione economica che ha visto l’aumento della disoccupazione: la Miele manderà a casa 2500 dipendenti, la Michelin entro il 2025 si ridimensionerà di un terzo. L’occupazione nel settore manifatturiero è scesa a 8,1 milioni di lavoratori da 8,4 milioni del post pandemia.

Il tutto durante la corsa dell’inflazione e così, dopo decenni di tranquillità, i tedeschi hanno capito cosa vuole dire perdere il potere d’acquisto.

E il declino economico è accompagnato da una sfiducia nella politica, con l’esplosione dell’estrema destra. Non c’è più la “dura ma rassicurante” Merkel e i cittadini tedeschi sono in difficoltà, perché non sentono il governo all’altezza della situazione critica. Certo non ha aiutato l’idea dell’esecutivo di usare fondi fuori bilancio per la transizione verde e la conseguente condanna della Corte Costituzionale con l’improvviso “buco” di 60 miliardi in meno da poter spendere. Due cittadini su tre bocciano la coalizione di governo secondo gli ultimi sondaggi. Sfiducia e crisi economica che sono diventati malcontento nelle piazze. Prima i dipendenti pubblici, poi i lavoratori delle ferrovie, del trasporto locale e poi il personale di terra di Lufthansa. E gli agricoltori e anche i negozianti hanno scioperato.

E ora? La locomotiva che non tira più potrebbe spingere la BCE ad accelerare l’inizio dei tagli dei tassi. Un “aiutino” per fare ripartire la locomotiva.

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Cristina Colli