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Economia

Tutte le novità per i fondi pensione

Ecco cosa succede con le nuove norme e come influiscono su età, ccontributi versati, e assegni

Quando e con quanto? Parlando di pensioni tutti si fanno queste due domande. In base alle nuove norme varia l’età, si va dai 60 ai 68 anni (70 anni per qualcuno) e varia l’assegno (in base allo stipendio, all’età, ai contributi versati ecc.). Ma sembra esserci solo una certezza: integrare. I fondi pensione sono e saranno sempre di più una scelta necessaria, per il futuro. A dimostrarlo c’è la fotografia scattata sul 2023 dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip): sono aumentati rendimenti e adesioni.

Gli iscritti alle forme pensionistiche complementari nello scorso anno sono aumentati del 4% rispetto al 2022. Si tratta di oltre 10 milioni di posizioni, 9,610 milioni di iscritti effettivi (c’è infatti chi ha più fondi pensioni attivi).In Italia i principali tipi di previdenza integrativa sono tre. I fondi negoziali (o chiusi) sono quelli fondati da contratti collettivi nazionali o da accordi o regolamenti aziendali. I fondi aperti sono accantonamenti presso banche, compagnie assicurative o società private che gestiscono i risparmi di chi aderisce (individuale/collettiva) e che può interrompere la propria partecipazione. I Pip (piani individuali pensionistici) sono quelli che si possono stipulare solo su base individuale presso una compagnia di assicurazioni. A guardare per tipologia sono stati 211 mila in più gli ingressi nei fondi negoziali, 109mila in quelli aperti e 83mila nei Pip. Gli aumenti maggiori, in termini di adesioni, sono arrivatinel 2023 dal settore edile, seguito dal pubblico impiego. Il boom (+5,5%) c’è stato dunque sui fondi negoziali, quelli collettivi.

Più adesioni, ma anche più contributi e risorse. Nel 2023 i contributi incassati da fondi e Pip sono aumentati del 5,7% e le risorseper le prestazioni hanno superato i 200 miliardi di euro (222,6 precisamente) che vuol dire +8,2% sull’anno precedente. Va detto che il 2022 era stato un anno di flessione per la previdenza integrativa. E questo incremento è dovuto principalmente al miglioramento dei rendimenti, complice il buon andamento dei mercati. Rendimenti che hanno segnato +6,7% per i fondi negoziali, +7,9% per quelli aperti e +8,3% per i Pip. Questa la “media”, ma i rendimenti hanno toccato e superato quota +10% se si guardano i comparti azionari nello specifico. In questo caso l’incremento è stato del 10% per i fondi negoziali, +11,3% per quelli aperti e +11,4% per i Pip. I comparti obbligazionari e garantiti hanno dato risultati più modesti.

E nel braccio di ferro con il Tfr? Prendendo in considerazione la decade dal 2014 al 2023 l’azionariato vince. Il Tfr ha un rendimento medio del 2,4% che batte le linee garantite e obbligazionarie che hanno risultati poco sopra lo zero. Ma non vince sulle linee azionarie, che viaggiano su una media del 4-4,5%.

Occhi puntati su due aspetti secondo gli esperti. Primo: l’inflazione. È un elemento cruciale quando si pianifica la propria pensione integrativa. Quando si investe il rendimento deve garantire possibilmente un guadagno, ma anche compensare l’effetto dell’inflazione (in questi anni ancor più sorvegliata speciale). Secondo: serve più inclusione. Dal settore fondi pensione sono ancora poco coinvolti in particolare i giovani. Una categoria esposta al rischio previdenziale.

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Cristina Colli