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Economia

L'economia cresce ma la festa è quasi finita

Il 2018 è iniziato con slancio. E ora cosa ci aspetta? È improbabile un'ulteriore accelerazione. Dovremmo già iniziare a pensarci

L'attuale ciclo economico è uno dei più lunghi del secondo dopoguerra ma ha probabilmente raggiunto il suo punto di picco ed è destinato a rallentare. L'economia mondiale ha iniziato il 2018 con slancio: molti indici anticipatori sono saliti ulteriormente, il commercio internazionale ha mostrato segni di recupero rispetto al rallentamento del 2016 e di metà 2017. Dal 2007 a oggi, gli Stati Uniti sono cresciuti complessivamente del 14,9 per cento, la Cina del 120,9 per cento, la Germania del 12,3 per cento, la Francia del 7,2 per cento. Solo l'Italia non ha ancora recuperato il terreno perduto e il Pil è ancora 5,4 punti percentuali inferiore al valore del 2007.

Il futuro dell'economia americana ed europea

Cosa ci aspetta? È improbabile un'ulteriore accelerazione della crescita mondiale. L'economia americana è in piena occupazione e il supporto della riforma fiscale di Donald Trump (con un impatto di un trilione di dollari nel decennio 2018-27) e della legge di spesa 2018-19 (altri 320 miliardi di dollari nel biennio) rischia di esacerbare i segnali di saturazione nel mercato del lavoro.

Anche in Europa, la crescita è ai massimi storici e i Paesi più indietro nella fase di ripresa (come l'Italia) si sono portati vicino al loro potenziale. Le politiche monetarie saranno meno accomodanti: al rialzo dei tassi americani seguirà la fine del programma di acquisti della Bce e, nel 2019, una fase di graduale incremento dei tassi. Già oggi, i tassi reali a medio-lungo termine cominciano ad allontanarsi dai minimi del periodo post-crisi.

Possibile rallentamento non significa recessione, il cui rischio appare ancora lontano. Per la prima volta nella storia economica, a una crescita in accelerazione non segue un effetto significativo sulla dinamica dei prezzi. Il bonus della "bassa inflazione" consentirà alle politiche monetarie di muoversi con gradualità tanto che i mercati mostrano di essere in grado di adattarsi ai cambiamenti di passo senza eccessivi balzi di volatilità.

L'incognita della potilica protezionistica

L'orientamento delle politiche fiscali non è globalmente sfavorevole, considerando che la modesta riduzione del disavanzo primario aggregato avviene in un contesto di crescita economica sostenuta. La grande incognita è costituita dall'aumento delle barriere al commercio mondiale. La politica di "America first" spinge Trump ad adottare politiche commerciali finalizzate a sostituire importazioni con produzione domestica (imponendo dazi, barriere non tariffarie o accordi di auto-limitazione), oltre che a scoraggiare investimenti diretti da parte di rivali geo-strategici (Cina).
L'ampio deficit commerciale statunitense viene attribuito non a fattori macro (come un eccesso di domanda provocato da politiche fiscali troppo espansive), quanto a pratiche commerciali sleali e discriminatorie da parte degli altri Paesi. L'obiettivo dichiarato di Trump è quello di rimpiazzare importazioni con produzione americana.

Vi è però il rischio che la politica protezionistica finisca per promuovere soltanto un aumento delle barriere al commercio internazionale, innescando guerre commerciali su più fronti.

(Articolo pubblicato sul n° 16 di Panorama, in edicola dal 5 aprile 2018, con il titolo "L'analisi")


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Gregorio De Felice

Gregorio De Felice è chief economist Intesa Sanpaolo

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