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Economia

Il raddoppio delle bollette del gas non dipende (solo) dal conflitto in Ucraina

Secondo l’economista Gianclaudio Torlizzi le ragioni del prossimo aumento del 100% delle bollette vanno ricercate nelle scelte di politica economica

L’autorità per l’energia (Arera) da giorni ha lanciato l’allarme: ci aspetta un autunno salatissimo da un punto di vista energetico. Le bollette dell’energia, infatti, potrebbero arrivare ad aumentare anche del 100% se le cose continueranno così. “Il rischio è molto concreto – conferma l’economista Gianclaudio Torlizzi, fondatore della società T-Commodity intervistato da Panorama.it –perché molte società di utilities hanno tenuto fino a quando potevano per evitare incrementi delle tariffe sperando, forse, che nel corso dell’estate i prezzi del gas si sarebbero calmati. In realtà è avvenuto esattamente l’opposto e adesso si trovano in una condizione non più rinviabile di aggiustare le tariffe a quelli che sono i costi di produzione che sono decuplicati perchè esattamnte un ano fa il gas a ptf quotava a 20 euro MW/H ora mentre ora stiamo a oltre ai 200 euro”

A influenzare l’aumento delle tariffe contribuisce anche l’esistenza del mercato di salvaguardia in Italia che tutela i fornitori di fronte a clienti non domestici insolventi. “Il mercato di salvaguardia ha adottato un nuovo calcolo – che sarà in vigore dal primo ottobre – che non è mirato a portare beneficio ai consumatori, ma che serve per proteggere i distributori perché – e il Governo ancora non se ne rende conto – imporre un congelamento delle tariffe senza adeguati piani di ristoro rischia di provocare la chiusura di tutta una serie di distributori di energia sulle cui spalle adesso ricade tutta questa situazione. Si continua ad affrontare questo problema sempre guardando al lato della domanda e mai al lato dell’offerta e questo è una impostazione sbagliata perché è antistorica dato che non si guarda alla criticità del momento. Si sta facendo di tutto per mantenere in essere i consumi e per tutelare la popolazione; si mantengono i consumi stabili (cosa che invece non si dovrebbe verificare) e non si proteggono i distributori”.

“Oggi – spiega ancora l’esperto - bisognerebbe adottare una politica energetica completamente nuova che incentivi la maggiore produzione possibile sia dal lato dell’estrazione di gas sia per la creazione di nuove infrastrutture. Invece si pensa sempre che possa avvenire qualche miracolo che alla fine salvi capre e cavoli e purtroppo siamo in una condizione oggi in cui lo sbandierato ottimismo del Governo circa il fatto che stiamo andando bene come quote di stoccaggio nasconde in realtà una grande criticità e una confusione tra il concetto di stock e quello di flusso si gas che sono due cose diverse. Lo stock copre il 40% dei consumi annuali, ma se si ha un flusso dal NS1che da 40 miliardi di metri cubi passa a 10 è chiaro che anche quel 15% di tagli ai consumi che chiede la commissione europea non basta a colmare quel gap”.

Quello che servirebbe, secondo Torlizzi, sarebbe una sorta di rivoluzione copernicana relativa al calcolo stesso del prezzo dell’energia “Il calcolo del prezzo dell’elettricità – sottolinea Gianclaudio Torlizzi - in Europa avviene attraverso un sistema cosiddetto marginale che impedisce ai prezzi dell’energia generati da fonte rinnovabile - che in teoria sarebbero a costo zero - di poter determinare un abbassamento della bolletta perché il gas in base a questo sistema influenza a cascata il resto. Quindi da un lato l’aumento è determinato dai grossi cali di flussi di gas da Mosca cui si sono aggiunti problemi relativi alla siccità che abbassando i livelli dei fiumi in Germania e Francia provoca carenze di acqua che impediscono i raffreddamenti delle centrali nucleari. In Germania addirittura le acque del Reno sono a un livello talmente basso che questo rende difficile anche l’approvvigionamento di carbone. Si sta un po’ ripetendo quello che è avvenuto la scorsa estate quando una sorta di tempesta perfetto ha dato il via alla crisi energetica e proprio come lo scorso anno oggi si ha una situazione di nuova siccità anche in Cina e questo sta portando il paese asiatico a tornare di nuovo sul mercato del gas liquefatto influenzando ulteriormente il prezzo del gas sui mercati internazionali”.

E proprio la situazione socio economica che sta attraversando la Cina è un fattore determinate per spiegare perché il prezzo del petrolio, invece, è in ribasso. Stamane il greggio Brent veniva scambiato a 94,05 dollari al barile con un calo dell’1,10% e i futures WTI prezzavano 88,67 dollari al barile, in diminuzione dello 0,86%. Si tratta del livello più basso degli ultimi sei mesi.

“Il rallentamento del consumi – afferma Torlizzi – e dell’economia cinese ormai entrata in assetto di guerra (con i lockdown sanitari e energetici) determina il fatto che il Governo di Pechino punti a ottenere le materie prime al prezzo più basso possibile cosa che oggi può ottenere a causa dell’attuale rallentamento dell’economia che sta raffreddando i prezzi del petrolio. La realtà però è che si sta verificando una speculazione al ribasso dei prezzi del petrolio. Oggi la speculazione ha un ruolo nello spingere al ribasso i prezzi del petrolio perché è vero che scendono per i rallentamenti dei consumi cinesi, ma è altrettanto vero anche che tali consumi crollano per i timori futuri di una recessione a livello mondiale, quindi dinamiche prettamente finanziarie quando invece il mercato fisico del petrolio rimane ancora piuttosto teso. La fase ribassista del petrolio è solo una fase temporanea che rimane sempre all’interno di un ciclo rialzista delle materie prime. Naturalmente questa fase di raffreddamento si fermerebbe subito nel caso in cui il G7 confermasse il price gap sul prezzo del petrolio. La conferma del price gap sarebbe il driver rialzista più forte che si possa concepire”.

Anche la locomotiva d’Europa, ovvero la Germania, sta attraversando una pesante crisi energetica, condizionata, secondo Terlizzi, anche dal cambiamento in atto del modello politico in vigore nel Paese teutonico “L’Italia, a differenza della Germania – spiega l’economista - ha una struttura economica incentrata sulle piccole e medie imprese e quindi siamo meno dipendenti dalle lunghe catene di approvvigionamento asiatiche e siamo in una condizione di una maggiore tenuta rispetto al modello tedesco che è un modello basato sia sull’energia a basso costo della Russia sia sui semiconduttori a basso costo dall’Asia. Due elementi che oggi non ci sono più e che non ci saranno più nel futuro e che aprono tutta una serie di discussioni su quale sarà il prossimo modello economico tedesco visto che l’attuale è fallito. Se i tedeschi saranno lungimiranti e abbandoneranno l’austerity per sposare una politica economica tesa ad ampliare il reshoring e quindi la capacità di produrre in casa o comunque all’interno dei confini europei ne potrebbero uscire prima”.

“L’Italia – prosegue - non fa eccezione e quindi non possiamo pensare che la pur lodevole azione del Governo di diversificare quanto più possibile le fonti energetiche ci protegga da una più che probabile crisi energetica perché quando entreranno in funzione tutti questi flussi promessi da tutti questi paesi come Algeria e gli altri paesi africani ci vorranno anni. L’Italia, però, non è in una situazione migliore alla tedesca anche perché ormai la nostra industria è intimamente legata a quella tedesca. Molte nostre aziende sono contoterziste di aziende tedesche e quindi se la locomotiva tedesca si ferma anche quella italiana si andrebbe a inchiodare. L’opportunità sarebbe importante per iniziare a parlare di reindustrializzazione del paese. Qui bisogna entrare nell’ottica che questa crisi energetica non è una crisi legata solo al fatto che siamo in guerra con la Russia – questo è l’aspetto più superficiale – la nostra crisi è molto più profonda e nasce da anni in cui si è sottovalutata la politica industriale. La nostra crisi energetica è soprattutto un problema di sotto capacità produttiva”.

“Questo – conclude Torlizzi - è un punto chiave che bisogna capire bene perché se no si commette sempre l’errore di individuare un cattivo di turno e pensare che eliminato quel cattivo la soluzione sia a portata di mano. La crisi delle materie prime è iniziata prima della guerra quando gli stati uniti hanno intrapreso uno stimolo fiscale di entità enorme (parliamo di oltre 5 mila miliardi di dollari di stimolo solo fiscale che hanno creato un collo di bottiglia per tutto il comparto delle materie prime. E’ chiaro che poi la guerra in Ucraina ha acuito il problema però il punto chiave è che siamo in una situazione di estremo deficit sul lato produttivo e se non si capisce questo non si risoverà mai il problema”.

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Barbara Massaro