Uber
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Economia

Cosa succederebbe se Uber fallisse?

La Silicon Valley si chiede quanto sia vicino un nuovo crash e che forma avrà

Uber è valutata 70 miliardi di dollari, una cifra eccezionalmente alta considerato che l’azienda non è profittevole. Come riferisce The Atlantic, gli osservatori iniziano a chiedersi se questa sopravvalutazione non sia un riflesso dell’andamento del mercato e, dunque, il sintomo del fatto che siamo prossimi a una nuova bolla nelle dotcom.

Perché Uber fa paura

A complicare ulteriormente le cose ci si mettono gli scandali dei primi mesi dell’anno: un boicottaggio ha portato alla chiusura di mezzo milione di account su Uber, sono emerse rivelazioni su molestie sessuali da parte del management e furti di proprietà intellettuale, per non parlare del video che mostra il ceo Travis Kalanick discutere animatamente con un driver e delle rivelazioni del New York Times su un programma segreto per aggirare l’applicazione delle leggi. “Quando Uber inciampa, fa paura”, commenta Rita McGrath, professore di management alla Columbia Business School. “La questione è se sarà in grado di sostenere il proprio modello di business. In un’industria consolidata come quella del trasporto, l’idea è stata dirompente, ma non esistono significative barriere all’entrata che proteggano la formula”.

Cosa sta succedendo nel mercato

Sono passati vent’anni da quando internet ha bruciato cinque trilioni di dollari e, ancora una volta, ci sono attività che stanno chiudendo, che sono state acquisite o che sembrano sovraquotate. I venture capitalist, inoltre, hanno ridotto i loro investimenti e sono diminuiti il numero di aziende che arriva alla quotazione e la valutazione delle start-up. Ma c’è anche una novità che ha rivoluzionato il mercato senza proclami: ogni azienda oggi è una tech company, in quanto la tecnologia è l’elemento pervasivo dell’economia contemporanea e questo crea un effetto protettivo per gli investitori. Dunque, una nuova bolla potrebbe manifestarsi come una deflazione.

Una catena di start-up

Se Uber dovesse fallire, ci sono altre 187 start-up con una valutazione superiore a un miliardo di dollari che operano sul mercato, secondo l’analisi di CB Insights. McGrath invita a distinguere fra le start-up che creano valore e che hanno un prodotto o un servizio che le protegge dall’imitazione e quelle costruite su assunti che non sono ancora stati testati e che ottengono finanziamenti solo perché gli investitori non hanno alternative.

Theranos insegna

Eppure, ci sono casi di start-up che hanno chiuso i battenti senza trascinare con sé l’intero settore. Con una valutazione da nove miliardi di dollari, Theranos è l’esempio perfetto di come si può fallire in modo spettacolare. In questo caso, dopo che il Wall Street Journal ha svelato che la tecnologia sviluppata non era efficace.

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E’ ipotizzabile, dunque, che il fallimento di un'altra start-up venga considerato e un caso isolato e non come un riflesso di un problema sistemico.

Cosa fanno gli investitori

Considerato che bassi tassi di interessi riducono le possibilità si scelta per gli investitori, la sopravvalutazione di Uber può essere spiegata in parte come riflesso del mercato globale. Ma non è tutto. Come fa notare Arun Sundararajan, professore alla Stern Business School della New York University, una buona fetta degli investimenti diretti ad aziende che creano nuovi modelli di business arrivano da operatori che hanno un portfolio diversificato e non sono più un gruppo ristretto come quelli che hanno subito la bolla fra il 1997 e il 2000. “Se Uber dovesse perdere una parte considerevole del proprio valore, la lezione che gli investitori e le start-up porterebbero a casa è che è necessaria una migliore corporate governance fin dall’esordio di una start-up”. Infine, nel conto entra anche l’evoluzione degli investimenti: invece di scommette su una piattaforma, gli investitori si concentrano sempre di più sulla tecnologia sottesa. Per esempio: aziende produttrici di sensori per le auto che si guidano da sole, invece di auto senza pilota.

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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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