Venezuela proteste contro Maduro
FEDERICO PARRA/AFP/Getty Images
Economia

Cosa succede al prezzo del petrolio con la crisi del Venezuela

Il Presidente Maduro ha ridotto il paese allo stremo, e il mercato del greggio si prepara a gestirne il crollo

Il 22 e il 23 di giugno potrebbe cambiare lo scenario del mercato del petrolio mondiale, alla luce delle decisioni che l'Opec si appresta a prendere e che ormai sono state largamente preannunciate da alcuni dei Paesi che ne sono membri e che controllano una larga fetta della produzione di oro nero.

Perché l'Arabia Saudita vuole produrre più petrolio

Nel dichiarato intento di garantire che il mercato del petrolio rimanga stabile, l'Arabia Saudita e gli altri principali produttori vogliono aumentare la produzione giornaliera, con il più che probabile risultato di far abbassare il prezzo al barile che ormai si è attestato attorno a quota ottanta dollari.

Cosa farà la Russia

Dopo il calo verificatosi nel 2016, quando il prezzo al barile era sceso fino a ventisei dollari, sembra che la strategia dei Paesi produttori sia destinata a cambiare. La mossa dovrebbe avere gli effetti sperati, anche perché la Russia potrebbe seguire a ruota l'Opec nell'accrescere la produzione petrolifera e dimostrare ancora una volta il progressivo avvicinamento strategico ai Paesi membri dell'Organizzazione, di cui, come noto, Mosca non fa parte, ma con la quale non disdegna di stringere intese.

Un vantaggio per l'Italia

A tirare un sospiro di sollievo non sono solamente quegli Stati che dipendono dall'importazione di greggio, come l'India, la Cina e la stessa Italia, ma anche gli Stati Uniti. Washington, infatti, ha chiesto di incrementare la produzione di petrolio di un milione di barili al giorno, dopo che il Presidente Donald Trump aveva lamentato come il cartello dei produttori stesse tenendo il prezzo del petrolio artificialmente alto.

Sullo sfondo, in realtà, c’è la preoccupazione dell'impatto che le nuove sanzioni Usa nei confronti dell'Irane il possibile collasso del Venezuela potrebbero avere, riducendo repentinamente l'offerta di greggio e conseguentemente spingendo i prezzi alle stelle, anche ben oltre la soglia psicologica dei cento dollari a barile.

Il dilemma del Venezuela

Se gli effetti delle sanzioni sono più o meno prevedibili, la vera incognita viene da Caracas. Il Paese sta letteralmente sbriciolandosie sembra che ormai debba dire addio anche alle entrate che arrivavano dall'export petrolifero.

La produzione è già calata di mezzo milione di barili al giorno in un anno e da un paio di giorni si rincorrono le voci secondo cui Pdvsa, la compagnia energetica nazionale, potrebbe dichiarare di non onorare i contratti esistenti per "cause di forza maggiore". A causa di una controversia con la multinazionale Usa ConocoPhillips, che ha bloccato alcuni depositi di petrolio venezuelani in risposta alle politiche di nazionalizzazione di Nicolás Maduro, i porti attraverso cui transita il petrolio venezuelano sono congestionati e le petroliere partono a rilento.

Un futuro a tinte fosche

Difficile che il problema si risolva in fretta, e comunque Pdvsa soffre di debolezze organizzative destinate a renderla sempre più inefficiente. Col risultato, fra l'altro, di minacciare un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita della popolazione del Venezuela, dove ormai migliaia e migliaia di persone soffrono la fame, non hanno assistenza sanitaria e sono costrette a tentare di emigrare verso la vicina Colombia.

Del resto, se Caracas continua a far scappare le aziende, a non investire nella produzione petrolifera e in nessun altro settore, vie d'uscite per il paese non ce ne sono. I paesi dell'Opec se ne sono accorti, e hanno deciso di agire di conseguenza. Se nemmeno l'aumento di produzione prospettato riuscirà a smuovere Maduro, difficile pensare che il Venezuela riuscirà a rimanere a galla.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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