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Economia

Conferenza sul clima Cop27, un fallimento annunciato

A novembre i grandi del mondo si ritrovano a Sharm El Sheikh ma il bilancio sugli accordi di Glasgow è impietoso: nessuno è in linea con gli obiettivi e la colpa è (anche) della guerra in Ucraina

Con l'avvicinarsi della Cop27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in programma nella prima metà di novembre a Sharm El Sheikh, Egitto, emerge che i progressi tangibili delle nazioni partecipanti verso le emissioni dello zero netto sono stati limitati e, in alcuni casi, persino regrediti. Alla fine della COP26 di Glasgow fu firmato un accordo internazionale per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius e raggiungere lo zero netto di emissioni di anidride carbonica entro il 2030, ovvero confermare la parte più cruciale dell'accordo di Parigi. Tuttavia, ormai alla vigilia dell’edizione 2022 di questo appuntamento, nessun paese risulta essere in linea con i suoi obiettivi climatici, sia dal punto di vista della concretezza, sia per quanto riguarda le risorse stanziate per realizzare i progetti previsti. L'invasione russa dell'Ucraina ha comportato un drastico cambiamento nelle priorità globali a causa della crisi energetica che ne è seguita, e si prevede che le emissioni legate all'energia aumenteranno del 14% quest'anno, con l'80% dell'energia mondiale ancora fornita da combustibili fossili.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha definito "delusioni" i nuovi finanziamenti predisposti per sviluppare tecnologie dei combustibili fossili, alludendo che le emissioni dell'UE durante l'ultimo trimestre del 2021 erano già state superiori a qualsiasi altro trimestre dalla fine del 2018 e le sanzioni contro il gas e il petrolio russi hanno messo in luce la continua dipendenza dell'Ue e la sua vulnerabilità degli stati per quanto riguarda la sicurezza energetica. La teoria sostenuta a Glasgow che i paesi sviluppati, come quelli del G7, abbiano iniziato a emettere grandi quantità di anidride carbonica in atmosfera prima del resto del mondo, avendo quindi avuto più tempo per sviluppare economie solide che consentono loro di adottare la tecnologia verde e mitigare gli impatti climatici, si sta rivelando per ciò che gli scettici hanno sempre sostenuto: un falso. L'obiettivo di stanziare cento miliardi di dollari all'anno per finanziare progetti per il clima, che era considerato una "frazione dell'investimento necessario per affrontare la crisi climatica", non è stato ancora raggiunto. Per esempio, gli Usa rappresentano il 30% del consumo energetico mondiale ma non hanno mai contribuito con più di 7 miliardi di dollari in un anno fiscale. Il presidente Joe Biden si era impegnato ad aumentare questo valore a 11,4 miliardi di dollari, una cifra che non sarebbe comunque sufficiente per raggiungere lo zero netto. Il Regno Unito ha aumentato i finanziamenti, ma ha anche incrementato le perforazioni di petrolio e gas nel Mare del Nord. Quanto all’Italia, provvedimenti come l’Area B di Milano sono gocce nel mare.

Innanzi a necessità contingenti c’è poco da scegliere, e fa scalpore la decisione presa nel luglio scorso dalla Repubblica Democratica del Congo di vendere all'asta lo sfruttamento di vaste aree forestali pluviali nel bacino del Congo alle compagnie di estrazione. In quelle località sono presenti torbiere che per la fauna selvatica rappresentano veri paradisi e ospitano le comunità dei gorilla più importanti del mondo, mentre la foresta pluviale congolese, la seconda più grande del mondo, assorbe da sola 1,5 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno. La Repubblica Democratica del Congo ha affermato apertamente che per loro "il clima non è una priorità", una dichiarazione che è stata accolta con proteste da organizzazioni ambientaliste come Greenpeace ma anche da nazioni del G7. Una grande ipocrisia, poiché Lo scorso anno, alla COP26 di Glasgow, un gruppo di nazioni che include membri del G7 come Francia, Germania e Regno Unito, avevano firmato un accordo decennale da 500 milioni di dollari con la Repubblica Democratica del Congo per proteggere le sue torbiere e foreste, ma le riserve di petrolio di quel sottosuolo valgono 650 miliardi. Inoltre, da marzo 2021 i Paesi del G7 hanno investito più soldi nei combustibili fossili che nelle rinnovabili – oltre 189 miliardi di dollari per sostenere carbone, petrolio e gas naturale – e, nonostante abbiano affermato l'intenzione di eliminare il carbone, ancora oggi non sono in grado di dire entro quando potranno farlo. Secondo Guterres il finanziamento dei progetti per il clima e il passaggio alle fonti di energia rinnovabile sarebbero i “piani di pace del 21° secolo” e aiuterebbero le nazioni del G7 a mantenere rilevanza in questo campo. Ma il segretario ha anche fatto notare che Paesi come la Repubblica Democratica del Congo non possono essere dipinti come "traditori del clima" per aver preso la difficile decisione di mettere i propri cittadini al primo posto, quando quelli con maggiore ricchezza, potere e capacità continuano a non rispettare i loro obblighi nei confronti della comunità internazionale. La dimostrazione che sono tutti ecologisti con le foreste degli altri.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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