Cop27
(Ansa)
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Cop27, un bicchiere mezzo pieno, ma anche mezzo vuoto

Le conclusioni in chiaro-scuro della conferenza sul clima che però ha visto l'assenza dei paesi più inquinanti del mondo: Cine ed India

I rappresentanti di circa 200 nazioni si sono riuniti a Sharm El-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 Novembre 2022 per programmare un’azione coordinata e congiunta nel prossimo anno. L’evento prendeva il nome di COP27, che sta per “27th Conference of the Parties to the United Nations Framework Convention on Climate Change”.

L’esito? Un bicchiere mezzo pieno. Da una parte un accordo storico alle quattro del mattino del 20 Novembre tra 200 nazioni, strappato in extremis al termine di una lunga notte di trattative, dall’altra la delusione per non aver affrontato il problema della riduzione delle emissioni. Più in dettaglio: a questo ritmo andiamo verso il grado e mezzo di riscaldamento globale entro il 2040; nel frattempo, è stato solo deciso che verrà creato un fondo per finanziare i Paesi in via di sviluppo colpiti dagli effetti del riscaldamento globale guidato da un comitato che riferirà alla Cop28 di Dubai del prossimo anno.

Gli obiettivi che i partecipanti tenevano in mente, sebbene alcuni con forte scetticismo, erano: limitare il riscaldamento globale a un grado e mezzo così da ridurre i suoi effetti più letali per gli ecosistemi e gli esseri umani; ridurre le emissioni di origine antropica di un terzo così da meglio proteggere gli ecosistemi e ripararne i danni; aumentare i fondi a favore dell’ambiente.

In questo senso, la conferenza Cop 27 aveva come scopo non tanto quello di fissare nuovi obiettivi quanto quello di implementare quelli già fissati nella conferenza di Glasgow dell’anno scorso e di verificarne l’attuazione (ancora nelle prime fasi) da parte della nazioni sottoscrittrici.

L’obiettivo di un grado e mezzo sopra i livelli pre-industriali era uno dei desiderata dell’Accordo di Parigi alla Cop21, preferito ai due gradi dagli scienziati dell’Ipcc. Secondo questi ultimi, sopra il grado e mezzo i danni agli ecosistemi sarebbero troppo gravi e per molti aspetti irreversibili. A causa di impegni non mantenuti e del conflitto in Ucraina il mondo non è al passo con questo obiettivo. Per questo ci si aspettava che alcuni nazioni prendessero impegni ancora più ambiziosi in tal senso, cosa che non è avvenuta.

La Cop 27 ha però discusso come aumentare i fondi dell’adattamento, ovvero non quelli destinati a contenere il riscaldamento globale (mitigazione), ma quelli destinati a proteggere popolazioni, città e territori da fenomeni estremi come incendi, alluvioni e innalzamento del livello del mare. Il problema è l’attuale squilibrio tra fondi alla mitigazione e quelli all’adattamento, i primi essendo molto superiori ai secondi. L’Onu ha proposto che le nazioni più ricche costituiscano un fondo per compensare i danni subiti da quelle in via di sviluppo e per finanziare nuovi sforzi di adattamento. La Danimarca era l’unica nazione che si era impegnata in tal senso fino a questo momento.

Il fondo che prenderà il via dopo lo storico accordo di Cop27 si chiama “loss and damages” ed è né più e né meno che una risposta alla necessità di finanziare le nazioni che devono fronteggiare i danni del riscaldamento globale. Finora le nazioni ricche avevano resistito all’idea di finanziare per trent’anni le nazioni in via di sviluppo temendo che sarebbe stato di fatto un finanziamento senza limiti. Nel corso del vertice, criticavano il gruppo molto compatto dei 137 Paesi in via di sviluppo più la Cina lamentando che quest’ultima è ora, di fatto, il Paese più inquinante al mondo con il 27 per cento dele emissioni totali. Recenti emergenze, quali la terribile siccità nel corno d’Africa o le alluvioni in Pakistan e Nigeria hanno resto la questione non più procrastinabile. La decisione di creare il fondo è un grande passo avanti ma non è nemmeno lontanamente la soluzione ai problemi della Terra. Stiamo già vedendo gli effetti di 1,2 gradi sopra il livello preindustriale, è cruciale contenere l’aumento.

In questo momento, i finanziamenti che mirano a sfruttare risorse naturali per favorire l’adattamento (per esempio la riforestazione o la coltivazione di alghe marine) ricevono meno del 10 per cento di tutti i fondi dedicati a combattere il riscaldamento globale. Occorreva dunque devolvere molte più risorse a questo tipo di soluzioni. La fine dell’uso di gas e petrolio non è in vista, nemmeno adesso che si è conclusa la Cop27. A impedire che venisse citata esplicitamente una graduale uscita dai combustibili fossili sono stati soprattutto i Paesi produttori di petrolio.

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Luca Sciortino