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Un negozio vuoto nell'outlet di Molfetta l'11 febbraio 2021 (Getty Images).
Economia

La rivoluzione digitale affonda il commercio al dettaglio

Le conseguenze del boom dell'ecommerce nell'anno del Covid.

A pagare il prezzo più alto dell'improvvisa accelerazione degli acquisti online (conseguenza diretta del nuovo assetto socio-economico dovuto alla pandemia) sono e saranno le piccole e micro imprese. Ossia quella costellazione di botteghe, negozi di quartiere, aziende unifamiliari e vetrine sotto casa che rappresentano il tessuto connettivo dell'Italia fin dal Medio Evo.

Secondo il report «The shape of Retail: i costi nascosti dell'e-commerce», condotto dalla società di consulenza globale Alvarez&Marsal e realizzato in collaborazione con Retail Economics, solo in Italia il commercio al dettaglio perderà 3,7 miliardi di euro entro il 2025 mentre in tutta Europa saranno 35 i miliardi di euro polverizzati dalla rivoluzione digitale.

Le abitudini dei consumatori, gioco forza, sono cambiate nell'ultimo anno spostandosi verso il commercio online e la rivoluzione è irreversibile. Secondo gli analisti, la tendenza a sfruttare il canale dell'online era già in corso, ma il Covid, con le norme di contenimento pandemico e di distanziamento sociale, ha velocizzato il tutto.

La sintesi è che ora per sopravvivere non resta che mettersi al passo coi tempi. Secondo lo studio, coloro che avranno margini di guadagno superiori in futuro saranno quelli che sapranno unire al canale di vendita fisico quello digital. L'analisi spiega che i rivenditori digital only in genere operano con margini notevolmente inferiori rispetto ai modelli di business multicanale e fisici e si aggirano in media intorno all'1,4%, valore di quattro punti percentuale inferiore a quello dei rivenditori misti che tocca il 5,2%.

I settori nei quali lo shift digitale si fa sentire maggiormente sono quelli degli elettrodomestici e degli oggetti elettronici in generale che hanno visto uno spostamento verso le vendite online del 18,7%, i casalinghi con il 16% e l'abbigliamento con il 14,2%, i prodotti di lusso, che richiedono un processo di acquisto più ponderato, continuano a presidiare i canali tradizionali. In ogni caso la via verso l'online sembra spianata, solo in Italia si stima che i negozi fisici perderanno nel post-pandemia quasi il 30% dei visitatori, nel Regno Unito la percentuale sale al 44%.

Per raggiungere buoni margini di profitto, però, è fondamentale che i retailer tradizionali investano nel mercato digital attraverso l'elaborazione di nuove competenze, il potenziamento dell'infrastruttura tecnologica e degli aspetti logistici e un'efficace politica di spedizioni e resi. Sarebbero proprio i resi con una comoda politica di devoluzione la chiave di volta per entrare a gamba tesa nel settore. I nuovi consumatori digitali, e questo è particolarmente valido per i giovani compratori, spesso nativi digitali, restituiscono la merce acquistata online con più facilità: basti pensare che quasi il 9% del totale delle spedizioni dell'ecommerce italiano torna indietro come reso, in UK questa percentuale sale all'11%.

Il problema della riduzione dei margini di profitto nel futuro immediato del retail riguarderà soprattutto l'Italia che, secondo l'indagine Alvarez&Marsal sarà il Paese che più di tutti in Europa vedrà assottigliarsi i margini di profitto dei retailer. Il nostro Paese vedrà, infatti, entro il 2025 scendere la redditività del settore dal 3,5% al 2,6% con un saldo negativo di -3,7 miliardi di euro.

Il futuro dei negozi fisici, quindi, è quanto mai incerto come spiega dice Alberto Franzone, Country Co-Head di Alvarez&Marsal in Italia: «In questo contesto i brand dovranno mettere in atto una serie di misure per evitare di soccombere. La sfida che oggi si presenta ai brand è quella sfruttare al meglio la disintermediazione che il passaggio fisico/online porta con sé, migliorando l'analisi degli insight per investire sulla formula direct to consumer».

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Barbara Massaro