auto euro 4
(Ansa)
Economia

Molte auto Euro 4 sono meno inquinanti delle auto «green». Traballano i dogmi della Ue

I dati di uno studio Politecnico di Milano-Unipol smentiscono le credenze green. Velocità troppo basse non significano emissioni ridotte

La ricerca demolisce le fondamenta della transizione verde Velocità troppo basse non garantiscono tagli alle emissioniIl 26% delle vetture Euro 4 consuma meno di una macchina censita come Euro 6. Il racconto alla base delle normative di Bruxelles, mirate a mettere a riposo milioni di auto italiane (e non solo) , non sta in piedi. Tanto più che, a livello meramente teorico e logistico, oggi il 30% del parco auto potrebbe essere sostituito da vetture elettriche. Se però si aggiunge la variabile economica e si vuole evitare di abbattere il modello di proprietà individuale dell’auto (e quindi causare la totale trasformazione della società) si arriva a una quota intorno al 12%. Poco. Molto poco. Il che significa che c’è una percentuale molto alta - superiore al 70% - di auto con motore a scoppio che nei prossimi 20 anni non potrà essere sostituita da quattro ruote con batteria elettrica.

Le motivazioni sono semplici: autonomia di percorrenza, costi di acquisto, costi di manutenzione, ricariche e posteggi. A smontare la base della transizione green voluta dalla Commissione Ue non è La Verità, ma uno studio prodotto dal Politecnico di Milano (dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria) in collaborazione con Unipol, una delle principali compagnie assicurative italiane. L’obiettivo del report è quello di creare un indice di valutazione provinciale per verificare la capacità dei singoli territori di convertirsi all’elettrico. È stato partorito un E-Private mobility index che, per prima cosa, ha verificato che se si supera la quota del 12% di auto elettriche si incappa in una spaccatura della società. Tra poveri e ricchi. I secondi viaggiano e i primi stanno fermi, sintetizziamo noi. Superata la premessa, lo studio ha analizzato lo spostamento di 226.000 veicoli nelle città di Brescia, Roma e Bari. Ha assegnato un valore percentuale a ciascuna di esse in base al numero di colonnine e alla geografia delle strade e alle lunghezze medie da percorrere.

Gli esperti del Politecnico, addentrandosi nella ricerca che - è bene specificarlo - si è basata sulle emissioni di CO2 (il dato su cui l’Ue ha costruito tutto il castello della transizione), hanno compreso che utilizzare il valore mediano per ciascuna classe di auto non è corretto o almeno non è sostenibile. Si sono accorti che era il momento di applicare un modello basato sulla rilevazione del comportamento puntuale di ogni singolo veicolo. Utilizzando la tecnologia alla base della scatola nera, Unipol ha studiato una «green box» che ha consentito di differenziare i modelli delle auto, la predisposizione del pilota a schiacciare il pedale o meno, le velocità degli ambienti urbani ed extraurbani. Risultato? Se, come dice l’Ue, un Euro 4 emette mediamente il 20% in più di CO2 di un Euro 6, è vero però che il 26% degli Euro 4 inquina meno di ogni Euro 6.

Entrando nel dettaglio, lo studio dimostra che le auto meno inquinanti di classe 4 con gli autisti che rispettano i normali limiti di velocità emettono 4 volte meno CO2 delle vetture di spinte di classe 6. Se le velocità scendono il rapporto tra le «migliori» Euro 4 e le «peggiori» Euro 6 arriva addirittura a 10 volte. E vincono sempre le auto più vecchie. È chiaro che Unipol suggerisca di abbandonare il modello dell’Unione europea per passare alla tecnologia. Se non vogliamo abbattere il parco auto, meglio utilizzare le green box e assegnare a ciascuna vettore la propria classe di CO2.

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Claudio Antonelli

(Iseo, Brescia, 1976). Caporedattore della Verità e responsabile della Verità digitale. Già ufficiale dei carabinieri, ha lavorato a Libero occupandosi di cronaca nera e, dal 2004, di giudiziaria, con particolare attenzione ai profili finanziari; quindi responsabile delle pagine economiche e poi all'ufficio centrale. Scrive di tematiche fiscali, geopolitica e industria della difesa. Per Chiarelettere ha pubblicato Metastasi, il primo libro che indaga sulla 'ndrangheta al Nord. Si considera «ammalato» d'Africa.

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