Condannata la Bce. Sull’agonia di Carige non fu trasparente
Christine Lagarde (Ansa)
Economia

Condannata la Bce. Sull’agonia di Carige non fu trasparente

La giustizia europea: gli azionisti dovevano accedere agli atti. Una sentenza-precedente e un assist per i ricorsi dei Malacalza

Per i giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea la Bce ha sbagliato a negare l’accesso agli atti con cui Carige è stata posta in amministrazione straordinaria e dovrà condannare le spese legali del ricorso di Francesca Corneli, consulente legale degli ex piccoli azionisti dell’istituto ligure. La Corneli, già vicepresidente di Asati (l’Associazione dei piccoli azionisti di Telecom), aveva presentato il ricorso contro la Bce presso il Tribunale della Ue nell’estate 2019 per chiedere la pubblicazione del provvedimento con cui il 2 gennaio dello stesso anno Francoforte aveva disposto il commissariamento della banca ligure e per chiederne l’annullamento. Il 29 maggio, infatti, la Bce aveva negato l’accesso al documento, richiamandosi a un generale principio di riservatezza su tutte le attività di vigilanza e affermando che «la Bce ha l’obbligo di rendere conto del proprio operato principalmente al Parlamento europeo [...] e di riferire regolarmente anche al Consiglio dell’Unione».

Oltre a rappresentare un importante precedente, la sentenza di ieri offre anche un assist per altri ricorsi e in particolare per quelli presentati dai Malacalza che avevano chiesto fin da subito l’accesso ai documenti e poi avviato una battaglia legale che va avanti ancora oggi. La famiglia genovese aveva ottenuto, il 25 giugno del 2020, un importante punto a favore dopo che la Corte di giustizia europea aveva annullato il provvedimento con cui la Bce aveva negato «l’accesso a vari documenti relativi alla decisione» del consiglio direttivo che il primo gennaio 2019 ha commissariato la banca, condannando l’authority a pagare le spese legali. A maggio 2021 i Malacalza hanno poi chiesto alla Corte di giustizia dell’Ue di condannare la Bce a risarcire l’ex primo azionista per un danno stimato complessivamente oltre 875 milioni per le «omissioni di interventi doverosi» e le «positive condotte pregiudizievoli» attinenti all’esercizio delle sue funzioni di vigilanza sulla banca genovese. Nel dettaglio, la richiesta all’Eurotower oggi guidata da Christine Lagarde è per 870,5 milioni da parte della Malacalza Investimenti, la finanziaria cui faceva il 27,5% di Carige (fino al commissariamento che ha poi condotto alla loro uscita forzata dalla compagine azionaria) e che è controllata dai figli di Vittorio Malacalza, Davide (tramite Hofima) e Mattia. Ha invece chiesto 4,5 milioni il patron Vittorio.

Nel ricorso di Malacalza Investimenti si legge che la Bce avrebbe effettuato «impropri condizionamenti e ingerenze nei processi di governance della banca, favorendone una gestione autocratica da parte degli amministratori delegati, in difformità dalle regole del diritto societario e della normale dialettica dell’organo amministrativo collegiale, così da assicurare l’attuazione di misure scorrettamente imposte, precludendo altresì la reazione a pratiche gestionali del management improprie e pregiudizievoli, nonché determinando un fattore di debolezza della banca». Secondo i Malacalza, avrebbe, inoltre, «concorso a creare i presupposti che la stessa autorità ha posto a fondamento della propria illegittima decisione di assoggettamento della banca ad amministrazione straordinaria e di avere, con ciò e con successivi comportamenti, concorso a determinare l’illegittimo aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, deliberato nel 2019, che ha provocato una ingente perdita di valore delle partecipazioni degli azionisti». Per Vittorio Malacalza si lamentano, invece, vicende e ragioni specificamente inerenti alla sua qualità di ex amministratore e vicepresidente dell’istituto. Va ricordato che quella partecipazione per la famiglia, è costata investimenti complessivi per 420 milioni in un arco temporale di quattro anni, mentre oggi vale appena 23 milioni. L’ultimo bilancio della Malacalza Investimenti segnala, inoltre, che in portafoglio ci sono ancora oltre 15 milioni di azioni, pari al 2,02% del capitale (un pacchetto che in Borsa vale meno di 12 milioni).

Dopo l’aumento da 700 milioni oggi Carige fa capo, per l’80%, al Fondo interbancario di tutela dei depositi e prosegue la strada verso un nuovo riassetto, dopo l’uscita dal commissariamento in poco più di un anno: Bper è in attesa del via libera della Consob al documento di offerta per l’acquisto della «banca dei liguri», con una sospensione dell’istruttoria che dovrebbe essere ormai alle battute finali. L’ultimo passaggio sarà quindi l’Opa obbligatoria che a cavallo dell’estate dovrebbe portare al delisting. Resta da capire se sull’uscita dalla Borsa verrà raggiunta la quota necessaria del 95% del capitale costituito in voto o se invece arriveranno sorprese. Nell’ultima assemblea del 15 giugno, circa l’8,8% del capitale si era astenuto o aveva votato contro la rinuncia transattiva alle azioni di responsabilità nei confronti degli ex amministratori Cesare Castelbarco Albani e Piero Luigi Montani. Una piccola compagine, che comprende anche i Malacalza, che potrebbe alzare la voce sull’addio a Piazza Affari.

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Camilla Conti