Milan Kundera, La festa dell'insignificanza: una sintesi dell'opera di una vita
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Milan Kundera, La festa dell'insignificanza: una sintesi dell'opera di una vita

Adelphi pubblica il nuovo romanzo dello scrittore ceco: "per gettare una luce sui problemi più seri senza pronunciare una sola frase seria"

Per ogni lettore attento, il momento in cui arriva nuovo romanzo di Milan Kundera va segnato sul calendario. Anche se decide di non leggerlo. Anche se - come ci ricorda stamattina sul Corriere della Sera Alessandro Piperno - con Kundera si fa molta fatica a dire se è un romanzo o un saggio: semplicemente perché per lui tra filosofia e letteratura non c'è differenza, come nei suoi amatissimi Musil e Broch.

Ma andiamo con ordine.

Questo nuovo libro, La Festa dell'insignificanza (Adelphi, traduzione di Massimo Rizzante) finisce inevitabilmente sul comodino per la fiducia nell'autore e la vaga speranza - tutta personale - che riesca a condensare davvero in un'opera narrativa (o quasi) tutte le idee esposte con tanta abilità e leggerezza nei suoi saggi, come Il Sipario. Nel frattempo (il tempo di leggere, come suggerirebbe Kundera, con Lentezza) cerchiamo di farci un'idea di cosa sia, citando chi ne sa di più, perché lo ha letto (Piperno per esempio ci ricorda che le bozze le ha lette sul suo divano).

Intanto, così lo presenta Adelphi:

«Gettare una luce sui problemi più seri e al tempo stesso non pronunciare una sola frase
seria, subire il fascino della realtà del mondo contemporaneo e al tempo stes­so
evitare ogni realismo – ecco La festa dell'insignifi­canza. Chi conosce i libri di
Kundera sa che il desiderio di incorporare in un romanzo una goccia di "non serietà"
non è cosa nuova per lui. Nell'Im­mortalità Goe­the e Hemingway se ne vanno a
spasso per diversi capitoli, chiacchierano, si divertono. Nella Lentezza, Vera,
la moglie dell'autore, lo mette in guardia: "Mi hai detto tante volte che un giorno avresti
scritto un romanzo in cui non ci sarebbe stata una sola parola seria... Ti avverto pe­rò: sta' attento".
Ora, anziché fare attenzione, Kundera ha finalmente realizzato il suo vecchio
sogno estetico – e La festa del­l'insignificanza può essere considerato una
sintesi di tutta la sua opera. Una strana sintesi. Uno strano epilogo.
Uno strano riso, ispirato dalla nostra epoca che è comica perché ha perduto
 ogni senso dell'umorismo. Che dire ancora? Nulla. Leggete!»

Alessandro Piperno sul Corriere della Sera (30 ottobre 2013) scrive invece:

«Che cos'è la Festa dell'insignificanza?
Un divertissement surrealista, una parabola felliniana, in cui si alternano
personaggi alle prese con elucubrazioni stravaganti. Ciarlieri, peripatetici,
brilli, un po' vanesi, talvolta fin troppo astratti ma chi se ne importa.
Ogni tano alludono a un loro inventore che immagino sia Kundera stesso. E, in
effetti, Kundera li tratta come marionette. Li sfotte e li comprende. Ad essi
affida i suoi classici motivi: dall'involontaria comicità dei dittatori
comunisti alla futilità di ogni esperienza umana.»

E lo stile?
Scrive ancora Piperno:
«Kundera è rimasto Kundera: lo stile sobriamente paratattico, il tono dimesso, l'andamento svagato e rapsodico.»

Stile che i lettori di la Repubblica stamattina hanno potuto apprezzare direttamente leggendo una breve anticipazione del romanzo:
«Era il mese di giugno, il sole del mattino spuntava dalle nuvole e Alan percorreva lentamente una via di Parigi. Osservava le ragazze, che mettevano tutte in mostra l'ombelico tra i pantaloni a vita molto bassa e la maglietta molto corta. […]»

Come ci ricorda Antonio Gnoli su la Repubblica, il romanzo rivela «una deliziosa e feroce parodia dello stalinismo» (ossessione - comprensibile - di Kundera, viene da aggiungere).

«Strano romanzo - continua Gnoli -: tocca tutte le corde di una civiltà al tramonto senza prenderle mai troppo seriamente. Crisi, angoscia, disorientamento - stati d'animo che conosciamo bene - lasciano il passo a un buonumore che si fa strada tra le rovine della storia e la polvere che essa ha depositato. Quale enigma si nasconde? "Solo dall'alto dell'infinito buonumore", scrive Kundera, citando Hegel, "puoi  osservare sotto di te l'eterna stupidità degli uomini e riderne".»

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Luigi Gavazzi