«E finalmente arriva l’acqua, che la sete è già passata» La solitudine dell’Ingegnere in Sudamerica
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«E finalmente arriva l’acqua, che la sete è già passata» La solitudine dell’Ingegnere in Sudamerica

Buenos Aires, 20 maggio 1923. Lalla Carissima, ho ricevuto jeri le tue care lettere del 23 e 25 aprile e quella della Mamma del 22. Mi fu di conforto il sapere che il mio telegramma per il 23 aprile …Leggi tutto

Buenos Aires, 20 maggio 1923.

Lalla Carissima,

ho ricevuto jeri le tue care lettere del 23 e 25 aprile e quella della Mamma del 22. Mi fu di conforto il sapere che il mio telegramma per il 23 aprile giunse in tempo a ricordarvi che continuamente, incessantemente, penso a Voi, carissime.

Perdonami, Lalla, se io ti ho pregato di rimandare l’idea di un trasferimento qui. Credi che ho interrogato non il mio egoismo, ma la ragione, e ho dovuto consigliarti a non pensare a ciò. Troppo costa la lontananza dall’Italia e troppo aneliamo tutti a tornarvi per poter suggerire ai nostri cari un distacco così doloroso.  Ci trattiene qui soltanto l’idea del guadagno, per assicurare a noi e ai nostri cari un miglior avvenire, se riusciremo a radunare quattro soldi. Noi uomini abbiamo il lavoro continuo, assorbente, che non ci lascia pensare: il cervello non ha tempo di fermarsi sul ricordo dei cari e della patria lontana. Ma nei momenti di sosta, che dovrebbero essere di riposo! le Signore poi soffrono di più: vedo la moglie del mio collega Re sfigurata dalla mania del ritorno: e qui ha il marito e un bellissimo bimbo! Non inquietarti di come sto, che sto bene, salvo i nervi sempre un po’ scossi: a poco a poco andranno a posto anche loro. Ho bisogno di vostre buone notizie. (…).

Per raccontarti a mia volta qualche cosa di allegro, ti dirò che io non mi fidanzerò mai con la sorella della mia padrona di casa, che si chiama Encarnaciòn. È una bravissima ragazza di 44 anni o giù di lì, grassa come il signor Paganini, ma molto più piccola. Porta gli occhiali a pince-nez e ha le movenze energiche del prete grasso di S. Simpliciano (quando eravamo piccoli), che scattava all’Elevazione come una molla d’acciaio, ma non dimagriva mai. La sua passione sono i pompieri: quando ne sente la rapida tromba, vola al balcone rovesciando qualunque cosa. E poi per tre ore me li decanta entusiasmata, chiedendomi se a me pure piacciono i pompieri. Essa si meraviglia che io non mi precipiti a mia volta a vederli e continui invece a mangiare le patate fritte con la faccia sopra pensiero. Ha la mania delle cerimonie e quando, col muso lungo, io vado a qualche banchetto a cui non posso sottrarmi, mi invidia come la povera cenerentola invidierebbe il figlio del re. Eppure io mangerei volentieri in casa, quieto, pensando alla mia famiglia.

Sono stato, da che son qui, a 5 pranzi e avrei potuto andare a 20. C’è la mania dei pranzi. Ogniqualvolta uno parte, o arriva, o si sposa o cambia le calze, c’è il banchetto. Dei 5 banchetti (per modo di dire, perché talora sono pranzerelli un po’ muffi) uno fu per la partenza di Bebacci, uno per lo sposalizio del nostro segretario. Di solito non esco la sera, perché rincaso tardi dal lavoro e sto lontano dal centro e dai teatri. E poi questa forma di malinconia mi ha tolto completamente la voglia di andarvi. So che vi sono belli spettacoli. Adesso è cominciata la stagione del Colòn. Ma non mi sento proprio di andare a sentire le strombazzate e le tonitruanti declamazioni dei grassi tenori. Mi farebbero sbadigliare.

L’ing. Prati mi ha invitato una volta al Cervantes un meraviglioso teatro costruito da una celebre attrice spagnola e decorato nel gusto spagnolo, con particolari di squisita eleganza, tutto tappeti e marmi. Mi interessò molto di più l’architettura e la decorazione del teatro, che non lo spettacolo, dato da una compagnia francese con molto brio. Una volta all’ing. Baldacci mi portò al cinematografo, tenendomi inchiodato 2 ore a vedere le 4 film. Ne uscii mezzo malato di rabbia e non potei dissimulare la mia ingratitudine per lo spettacolo offertomi.

Non mancano insomma, per chi volesse, i divertimenti metropolitani. Manca invece la possibilità di passeggiate, vialetti, ecc. Il meglio è concentrarsi sul lavoro, e non pensare ad altro. Così facciamo tutti, non per virtù, ma perché non si ha voglia di fare diversamente. (…).

La mia padrona di casa è sempre molto gentile, educata e fa buona cucina. Però è spagnola (sebbene abbia il marito inglese): molto distinta, ma non fa sgobbare la serva. Questa è una ragazza galiziana (=napolitana di Spagna) e tutte le volte che mi vede scrivere, mi domanda se scrivo alla novia (=fidanzata) e crede che io stia per impazzire, perché riempio qualche foglio.

Se le chiedo un bicchier d’acqua, va a cercare un piatto, poi un bicchiere, e poi prende la bottiglia e va a riempirla e poi riempie il bicchiere e poi bussa alla porta e finalmente arriva l’acqua, che la sete è già passata.

Spero, Lalla Carissima, di ricevere presto altre e sempre buone notizie tue e della Mamma. Queste vostre lettere sono l’unico mio conforto e Vi prego quindi di non lasciarmele mai mancare.

Carlo

 

Lettera e busta intestate: Ing. Carlo Emilio Gadda, Compañìa General de Fòsforos
Lettere alla sorella, Archinto

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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