12 anni di vita cancellati per un incidente
Roberto Caccuri per Panorama
Lifestyle

12 anni di vita cancellati per un incidente

Una botta in testa e Piedante Piccioni perde la memoria di un lungo periodo. Un incubo, che racconta in un libro sorprendente.

Un incidente d’auto. Una botta in testa. E 12 anni di vita non esistono più. Cancellati. Volatilizzati. Puff, più niente. Un file bruciato da un errore di digitazione, come se la testa fosse un computer. È il 31 maggio 2013 quando l’auto di Pierdante Piccioni si schianta e il primario lombardo, padre di due ragazzi, finisce in un reparto d’ospedale. Quando riapre gli occhi spiega, a chi sta intorno al suo letto, di avere appena lasciato Tommaso a scuola, di aver comprato anche i pasticcini perché "oggi" (il suo oggi, nel post incidente) è il 25 ottobre 2001, il compleanno del figlio, otto anni. Invece di annuire, gli astanti, moglie compresa, lo guardano strano, preoccupati, mentre lui si domanda perché abbiano tutti i volti segnati da rughe cattive e come mai nessuno gli creda quando dice che ha accompagnato il bambino a scuola.

Un incubo. Un incipit degno di Philip K. Dick, scrittore di fantascienza, o se si preferisce una vicenda perfetta per questi giorni di scoperte di buchi neri, che molto ci fanno riflettere sul rapporto spazio-tempo. Sicuramente una storia da romanzo. E proprio un romanzo-verità ha scritto Piccioni, con l’aiuto di Pierangelo Sapegno, dando vita un libro sorprendente, Meno dodici (Mondadori), che si legge tutto di un fiato per scoprire se la memoria di quei 12 anni è riemersa o si è sbriciolata nel nulla. Se davvero odia i figli, come scrive. Se aveva l’amante. Se la malattia della moglie, tremenda, con tre recidive, era stata per lui insopportabile al punto da neutralizzarla nell’oblio. Un libro che è un viaggio nei 17 mesi e mezzo spesi fra esami clinici, psicoterapeuti, dolori. Un viaggio che ripercorre davanti a una tazza di tè verde, senza fare sconti a nessuno. Compreso a se stesso.

I suoi figli ci sono rimasti male nel leggere come li ha descritti? Li ha battezzati il Serpente e il Gorilla. E l’odio che provava per loro…
Sì, hanno accusato il colpo. Ma ho fatto capire loro che li percepivo così: li avevo lasciati bambini di 8 e 11 anni e me li trovavo ragazzotti estranei di 20 e 23 anni. Del resto, non potevo spiegare la risalita se prima non raccontavo l’inferno.  

Così definisce il suo risveglio con 12 anni di vita in meno?
I miei colleghi mi dicevano: "È una storia eccezionale", io li maledivo rispondendo  rabbioso: "Facciamo cambio?", perché ero un estraneo in un mondo estraneo.C’è voluto tempo perché il mio cervello si assestasse e si rendesse conto di essere nel 2013 anziché nel 2001. Tecnicamente si chiama "consolidamento".

Sua moglie come l’ha presa?
Non ha digerito la storia delle rughe: quando la descrivo invecchiata.

Anche lei lo era. C’è una scena molto forte quando si guarda allo specchio.
Avrei voluto intitolare il libro Se mi fossi incontrato non mi sarei riconosciuto, ma sembrava più un film di Lina Wertmüller... È stato veramente uno shock vedermi, le rughe, i capelli ingrigiti, la barba lunga da tre giorni di degenza. Ero un naufrago in tutti i sensi.


Lei è anche medico. Che idea si è fatta di quello che le è successo?  
Mi sono sentito Dottor Jekyll e Mr. Hyde, medico e paziente. Mi creda, meglio l’ignoranza in questo caso.

Che cosa intende dire?
Io sono stato valutato in base ai referti clinici, in base cioé alle lesioni della mia corteccia cerebrale. E questo è l’errore
più becero che un medico può fare, non ragionare sul paziente ma sugli esiti di una tac o di una risonanza. Invece un diabetico è una persona, affetta da diabete.

Perdoni, che cosa vuol dire?
Fino al 2001 ragionavo da medico: "Ti curo, sono bravo, cosa pretendi? Che ti spieghi anche bene cos’hai? Che stia attento a non guardarti dall’alto in basso?". Adesso è il contrario, ragiono  sulla persona nel suo complesso. 


Qual è però la sua diagnosi sul caso?
Che la nostra memoria è come un hardware che ha bisogno di un software per funzionare. Temo di aver bruciato quel software, il programma per accedere ai miei ricordi.

Le emozioni. Lei, risvegliandosi, ha cancellato tutte le emozioni passate.
Potrebbe essere. Forse le emozioni sono come una password per accedere al circuito della memoria.

Hai mai pensato di essere fuggito dalla realtà? Da se stesso?
Non sono stati 12 anni bui. Dal 2001al 2007 sono stati anche belli, a parte la malattia di mia moglie.

Nel libro racconta però anche la fatica sul posto di lavoro, il fatto di essere
un Robin Hood, un "rompicoglioni". Non è che fosse stufo della parte?
Può darsi.

Una rimozione secca. Un oblio salvifico.
I miei strizzacervelli hanno detto che è l’effetto del trauma: se prendi una botta del genere rompi l’equilibrio cerebrale. Nessuno però mi ha spiegato perché ho cancellato proprio quei 12 anni.

Si sente più leggero?
Oh, sì. Ma preferirei non aver vissuto questa esperienza.

Pur essendo un cattolico osservante, ha pensato al suicidio. È così orribile perdere la memoria?
Ci ho pensato come ipotesi molto lucida e ragionata. Ero solo, un estraneo in un mondo troppo cambiato. I mei bambini non c’erano più, al loro posto due ragazzotti sgraziati, avevo scoperto che mia madre era morta, e dopo l’incidente  erano mancati mio papà e il mio confessore. E  mia moglie aveva avuto la quarta recidiva. Sul lavoro, da primario ero finito in uno stanzino con mansioni da "bidello". Ha presente? Non ce la facevo più.  

Come ne è uscito?
Sfruttando il grimaldello della mia grande passione: la medicina. Mi sono rimesso a studiare molte ore al giorno. E sono ritornato battagliero. Ho lottato contro la burocrazia e ora sono di nuovo primario.

Ma si può vivere senza ricordi? O come in Blade runner meglio inventarseli?
I ricordi siamo noi. È più divertente averli vissuti, ma in assenza, meglio fantasticarli. Io, per esempio, mi sono esercitato ad immaginare che beccavo uno dei miei figli al primo bacio o che vivevo episodi che mi hanno raccontato. E questa volta ho usato le emozioni: sono stato ad ascoltarle.

Lei ha sperimentato una sorta di "viaggio nel tempo", sognato da molti.
Avrei scambiato volentieri questo privilegio con una sana normalità.

Nel libro scrive che spera di essere migliorato. Ci è riuscito?
Come medico senz’altro, adesso penso al paziente come persona. Come padre, probabilmente: ascolto molto i miei ragazzi con cui ho fatto pace. Come uomo credo di aver capito l’importanza del comunicare, il nostro grande problema. Ma su tutto, ho capito che le emozioni sono la chiave d’accesso alla vita. E io ho l’entusiasmo del tonto che si è risvegliato. Che bello!

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Stefania Berbenni