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Calcio

Messi va negli Usa, ma il nuovo calcio (ricco) sta in Arabia Saudita

L'argentino a Miami mentre gli sceicchi fanno incetta di campioni strapagati. Perché? C'è un progetto che punta a rifarsi l'immagine e ha come obiettivo l'assegnazione del Mondiale del centenario

Alla fine Leo Messi ha detto no. Niente ritorno romantico al Barcellona, dove avrebbe preso solo uno stipendio da top player europeo e nulla più, ma soprattutto niente viaggio in Arabia Saudita per vestirsi da sceicco e aggiungere il proprio nome a quelli di Cristiano Ronaldo e Karim Benzema. Ha scelto gli Stati Uniti e l'Inter Miami per chiudere la sua favolosa carriera, una volta staccata la spina con Psg e con il biennio che lo ha visto per la prima volta anche contestato dai suoi tifosi come uno qualunque. Seppure nella stagione del Mondiale vinto in Qatar e dell'immagine che ha fatto il giro del mondo con addosso la tunica donata dall'emiro.

Messi no, Benzema e altri sì. il Pallone d'Oro 2022, l'uomo che ha trascinato il Real Madrid sul tetto d'Europa e del Mondo ma che all'ultimo Mondiale è mancato causa infortunio e polemiche con il ct Deschamps, ha invece accettato di buon grado l'invito a corte dell'Al Ittihad, la squadra che si è appena laureata campione d'Arabia Saudita tenendosi dietro il favoritissimo Al Nassr di Cristiano Ronaldo. Per il disturbo di finire nel deserto, Benzema riceverà un ingaggio di 200 milioni di euro netti in due anni con opzione per allungare il rapporto di un'altra stagione.

Sarà ricco sfondato, come CR7 che è stato il pioniere del campionato arabo e che qualche settimana fa veniva descritto come pentito della scelta. Presto ne arriveranno altri di nomi pesanti: su Kanté ci si può scommettere anche se ha un contratto fino al 2024 con il Chelsea che non potrà mai, però, competere con i 100 milioni offerti dagli sceicchi.

Non bisogna sorprendersi della montagna di denaro che l'Arabia Saudita sta riversando sulle stelle del football europeo. Il progetto è pubblico, si chiama 'Saudi Vision 2030' e nasce dall'idea che anche l'Arabia Saudita come il Qatar moltiplichi i propri investimenti nello sport e nel pallone per rifarsi un'immagine a livello internazionale. Non solo diversificazione dell'economia, ma vera e propria operazione di re-branding, magari facendo dimenticare i limiti in materia di rispetto dei diritti umani e civili. Non è una novità e fare incetta di fuoriclasse a fine carriera non è nemmeno l'unico strumento: il fondo sovrano PIF ha acquistato il Newcastle e nella sua prima stagione in Premier League lo ha portato a qualificarsi per la Champions League. Ora ha rilevato anche i quattro maggiori club d'Arabia Saudita per completare un mosaico nel quale per diversi mesi si è pensato potesse entrare anche l'Inter. Voci smentite e mai realizzate.

L'idea degli sceicchi è abbastanza semplice. Non solo portare i propri dollari fuori dall'Arabia Saudita, aprendosi vetrine dove conta nel Vecchio Continente, ma anche provare a rendere un torneo periferico come quello saudita una sorta di parco del bengodi calcistico con la certezza di vincere, nel senso che qualcuno alla fine il campionato lo conquisterà. Sullo sfondo la corsa all'assegnazione del Mondiale del 2030, quello del centenario che fa gola anche al Sud America.

L'Arabia Saudita lavora a un progetto con Egitto e Grecia tenendo che dovrebbe garantire l'appoggio delle confederazioni europea e africana in un delicato equilibrio di geopolitica sportiva. Servono alleanze strategiche e uomini immagine, disposti a fare da testimonial. Con gli ingaggi da centinaia di milioni di euro gli arabi si stanno prendendo l'una e l'altra cosa. Il pallone ormai è solo un pretesto, nemmeno troppo ben celato.

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Giovanni Capuano