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Ansa
Calcio

Maignan e gli infortunati: se vogliono giocare meno si taglino gli stipendi

Solo risentimento ai flessori per il portiere del Milan che in due stagioni è stato ai box per 200 giorni. Si riapre il dibattito sui calendari troppo pieni, ma la verità è che i primi a beneficiarne sono proprio i calciatori

Mike Maignan può tirare un sospiro di sollievo e con lui Stefano Pioli e i tifosi del Milan. Il guaio che lo ha messo fuori dalla sfida con il Newcastle è meno grave di quanto parso in presa diretta: nessuna lesione, solo un risentimento ai flessori della coscia sinistra da valutare giorno dopo giorno. Il calendario fitto lo costringerà, forse, a saltare qualcosa ma il peggio è scongiurato e non è un dettaglio per un atleta che nelle ultime due stagioni ha dovuto restare fermo ai box complessivamente per 200 giorni, perdendosi 42 partite ufficiali di Milan e Francia. In piccola parte per la rottura del polso nell'autunno 2021, molto per una muscolatura che si è rivelata problematica.

Il sospiro di sollievo di Maignan e del Milan non chiude, però, il dibattito che si è aperto nei minuti successivi alla fine della sfida di San Siro, quando le condizioni del francese sembravano preoccupanti. E' stato Pioli a ritirare fuori il ragionamento sui troppi impegni per i calciatori, soprattutto quelli di primo livello: troppe partite, poco tempo per allenarsi e far riposare i muscoli.

"Chiaro che si gioca tanto, si gioca troppo e i giocatori che hanno giocato in Nazionale alzi il rischio degli infortuni" ha argomentato il tecnico rossonero, riaprendo un tema dibattuto ormai da anni senza che si trovi una soluzione. Anche perché, per essere pragmatici, è impossibile chiedere ai club di ridurre il proprio numero di partite rinunciando a fette di ricavi dai diritti tv continuando però a garantire ai propri tesserati stipendi da favola che da quei diritti, in larga parte, vengono coperti. E la guerra con la Fifa sul calendario internazionale è stata persa anche per i prossimi anni.

Pioli, Maignan e tutti gli altri, insomma, si devono rassegnare. Non andrà meglio nel 2024 e dopo, anzi. Questo è calcio in cui un 37enne come Luka Modric è sceso in campo nella passata stagione 64 volte con le maglie del Real Madrid e della Croazia: 4.418 minuti filati via in un incastro reso ancora più folle dal Mondiale invernale in Qatar ma che potrà ripetersi anche in futuro. Tante manifestazioni, tante partite, tanti incassi: nessuno rinuncia alla sua fetta di torta. Nemmeno i calciatori che sono i primi beneficiari e che dall'avvento delle pay tv e dei grandi broadcaster hanno visto moltiplicarsi i proprio ingaggi.

L'invito a far giocare meno, o a scegliere periodi dell'anno o orari non solo a uso e consumo dei bisogni delle tv, è condivisibile ma anche molto ipocrita. Chi in uno spogliatoio qualsiasi accetterebbe di tornare agli anni '70 e '80 dimezzandosi (e oltre) lo stipendio? Risposta facile: nessuno. E allora si continuerà a giocare così, le rose si allungheranno e ai calciatori si dovrà chiedere di gestirsi da professionisti sempre e comunque, capire che anche panchine ed esclusioni allungano la loro ricca carriera e passare oltre evitando di vestire in continuazione il ruolo delle vittime.

Del resto sono in buona compagnia. Ci sono sport molto più logoranti del calcio in cui gli impegni sono ugualmente cresciuti di numero e di qualità, spesso con minor beneficio economico per chi ne è protagonista. Ultima annotazione: dal 2026 le soste per le gare delle nazionali cambieranno configurazione e non è detto che sia meglio. La battaglia per rendere biennale il Mondiale è stata persa dalla Fifa, ma l'accorpamento delle date di settembre e ottobre in una pausa lunga 16 giorni spezzerà in due l'autunno del calcio europeo costringendo la Uefa (dal 2024 il format Champions League prevede più appuntamenti) a qualche equilibrismo. Tradotto: si continuerà a giocare ogni tre giorni.

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Giovanni Capuano