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(Ansa)
Inchieste

Giappone, chiamata al riarmo

Fine dell’impostazione difensiva delle forze militari: Tokyo investe enormi risorse nel loro potenziamento per contare in Asia. Ma deve fare i conti anche con grandi problemi interni.


Quattrocento missili da crociera Tomahawk per una spesa complessiva di 1,7 miliardi di dollari: è l’ordine da capogiro che il governo giapponese ha piazzato presso l’alleato americano con un contratto siglato lo scorso 18 gennaio. Il Pentagono, dal canto suo, può invece acquistare i «terra-aria» Patriot prodotti su licenza nel Paese del Sol Levante per rimpolpare i propri arsenali, svuotati dalle forniture belliche all’Ucraina. Una possibilità che si è aperta, quest’ultima, grazie a una legge, varata nel dicembre scorso dal parlamento nipponico. La nuova disposizione consente per la prima volta a Tokyo di vendere all’estero armamenti fatti e finiti e non più solo componenti da assemblare poi in loco.

Il Giappone, dopo decenni di un esercito a ranghi ridotti, ambisce a essere di nuovo una grande potenza militare e il governo guidato da Fumio Kishida, salito in carica due anni e mezzo fa, non ne fa mistero. Per il 2024 ha previsto lo stanziamento di un budget da record per la spesa militare: 7,95 trilioni di yen, pari a circa 50 miliardi di euro, ben il 17 per cento in più rispetto a quanto messo sul piatto per il 2023. Secondo i piani, entro tre anni il budget della difesa dovrebbe arrivare al 2 per cento del Pil nazionale, l’obiettivo stabilito per gli Stati Nato, che farebbe della nazione asiatica il terzo maggior «investitore» al mondo in campo militare dopo Cina e Stati Uniti. Il programma è stato messo nero su bianco due anni fa, con la pubblicazione da parte dell’esecutivo di una nuova Strategia per la sicurezza nazionale.

Preoccupato per la minaccia missilistica nordcoreana, in pessimi rapporti con i russi e impegnato a frenare le ambizioni egemoniche della Cina, il Giappone reagisce e mette a punto strumenti di forte deterrenza. Così da far capire ai bellicosi vicini che, anche se la Costituzione nipponica impedisce di muovere guerra ad altri Stati, le Forze di autodifesa - ovvero l’esercito - saranno però in grado di accogliere ogni possibile sfida. A partire dalla polveriera di Taiwan, che Pechino intende riprendersi con le buone o con le cattive entro un quarto di secolo, ma che né Tokyo né Washington hanno intenzione di lasciare negli artigli del Dragone.

«Da un punto di vista geopolitico, il Giappone e gli Stati Uniti traggono vantaggio dal mantenimento dello status quo di Taiwan, perché possono ostacolare l’avanzata marittima della Cina e rendere più facile la localizzazione dei suoi mezzi militari che si spingono verso l’esterno, compresi i missili balistici intercontinentali, le navi e i sottomarini» spiega Giulio Pugliese, ricercatore associato presso l’Istituto affari internazionali (Iai).

La prima sfida che Kishida deve affrontare per rilanciare la potenza del suo Paese, però, è proprio quella di far seguire le parole ai fatti, a cominciare dallo stanziamento dei fondi necessari. Sulla carta, l’economia giapponese, la quarta più grande del mondo dopo Stati Uniti, Cina e Germania, procede a gonfie vele. I principali indicatori delineano prospettive rosee: nel 2023 il Pil è cresciuto ancora, il tasso di disoccupazione si è mantenuto basso e le esportazioni hanno raggiunto un record storico, grazie allo yen debole che favorisce gli ordini dall’estero. A gennaio, il Nikkei 225, l’indice di Borsa giapponese, ha toccato i massimi dal 1990. Ma fuori dagli uffici della finanza e dai ministeri, il quadro è più grigio: nel 2023 l’inflazione ha raggiunto livelli che non si vedevano da quarant’anni (oltre il 3 per cento) mangiandosi il potere d’acquisto dei consumatori, i cui salari aumentano ben più lentamente.

Così, per garantirsi gli obiettivi di riarmo, il primo ministro deve ingoiare un paio di bocconi amari, che stanno già facendo litigare le correnti del partito Liberal-democratico, a cui appartiene.

Il primo è un aumento delle tasse, prospettiva che però quasi nessun cittadino accoglierebbe di buon grado. E il premier non può certo permettersi di perdere popolarità: uno scandalo di corruzione ha investito il suo governo lo scorso anno, facendo rotolare le teste di diversi ministri e spedendo l’indice di gradimento del suo esecutivo sotto il 30 per cento. L’alternativa è ricorrere a un aumento del debito pubblico, ma è già al 285 per cento del Pil, il rapporto più alto del mondo. Tuttavia, per sostenere un ulteriore squilibrio in questa direzione la Banca del Giappone dovrà mantenere bassi i tassi d’interesse. Così facendo però, l’inflazione continuerà a salire, alimentando lo scontento dell’elettorato.

Anche trovate le risorse, Kishida resta con il problema di chi indosserà scarponi e mimetica. Le Forze di autodifesa sono sotto organico del 10 per cento e continuano a mancare tutti i target annuali di arruolamento. Una delle ragioni è che una fetta sempre crescente della popolazione non sarebbe in grado di imbracciare il fucile neanche se volesse: il 30 per cento dei giapponesi ha 65 anni o più, il 10 per cento ne ha più di ottanta. Il mercato del lavoro ha cercato di tamponare il problema facendo lavorare tutti più a lungo: il governo ha innalzato l’età pensionabile da 65 a 70 anni, ma già quattro aziende su dieci assumono dipendenti anche sopra quella soglia di età. Una strada difficilmente immaginabile però per chi deve marciare nel fango o pilotare un drone. Se già oggi il bacino di potenziali reclute è ristretto, in futuro potrebbe addirittura prosciugarsi. La popolazione giapponese, 125 milioni di persone, è in declino da oltre 15 anni. Non ci sono abbastanza abitanti che scelgano di diventare genitori: si stima che il 42 per cento delle donne oggi adulte non avrà figli e il dato è probabile sia analogo anche per gli uomini. Il tasso di fertilità è poco più della metà di quanto servirebbe anche solo per mantenere stabile la cifra attuale. Invece, con i decessi che continueranno a superare i parti, entro il 2070 nell’arcipelago nipponico rimarranno appena 87 milioni di individui, di cui uno su tre sarà anziano. Invertire la rotta è però un’impresa titanica. A giugno scorso Kishida ha lanciato un nuovo allarme sulla denatalità e ha presentato un pacchetto di aiuti a supporto della genitorialità da 3,6 trilioni di yen, circa 23 miliardi di euro, ma otto elettori su dieci dubitano della sua efficacia. Oltre a non essere chiaro come saranno garantiti questi fondi, le misure sono infatti perlopiù un rifinanziamento di politiche passate, e fallimentari, che non intaccano le cause profonde del fenomeno. I giovani adulti, infatti, sono scoraggiati dallo sposarsi e metter su famiglia a causa delle scarse prospettive professionali ed economiche.

Il 40 per cento dei giapponesi ha lavori part-time o a contratto e il costo della vita, e della cura dei figli, è spesso proibitivo, specie nei grandi centri urbani. Per le giapponesi, che già guadagnano oltre il 20 per cento in meno dei colleghi maschi ma sono quattro volte più precarie, la maternità può anche mettere a rischio la carriera. Certo, le forze armate sono considerate più paritarie e meritocratiche della media delle aziende, anche se meno di una recluta su dieci è donna. Ma un recente scandalo di abusi sessuali ne ha macchiato l’immagine.

Nel 2022, la soldatessa Rina Gonoi ha pubblicato un video su YouTube denunciando le molestie subite da commilitoni l’anno precedente, dopo che un’inchiesta interna era stata archiviata dai suoi superiori. Oltre a far riaprire il processo, conclusosi nel dicembre scorso con la condanna di tre imputati, la vicenda ha scoperchiato il vaso di Pandora sulla pervasività di bullismo e sessismo in ambito militare. Un danno all’immagine che ha sortito conseguenze concrete: il numero di donne che si sono arruolate lo scorso anno è sceso del 12 per cento, dopo anni di crescita consecutiva.

Per difendersi dalle minacce ai propri confini - e con sé lo schieramento occidentale - il Giappone dovrà quindi vincere in primo luogo le sue battaglie interne.

Nei progetti bellici del Sol Levante c’è comunque spazio anche per l’Italia. Infatti, a parte le nuove partnership industriali avviate e rinsaldate da Giorgia Meloni nel suo recente viaggio a Tokyo, a dicembre 2023, insieme alla Gran Bretagna, il nostro Paese ha stretto un accordo con la potenza orientale per sviluppare un caccia di sesta generazione. L’aereo da guerra dovrebbe fare il primo decollo nel 2035. Sperando che acque e cieli nel «quadrante indopacifico» non siano già diventati troppo caldi.

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Francesco Paolo La Bionda