Internet conquista il giornale del Watergate
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Internet conquista il giornale del Watergate

Jeffery Bezos, fondatore di Amazon, compra il Washington Post, Newsweek, invece, è sempre più in agonia. Due grandi testate e due diversi destini

Una lunga storia passata guarda al futuro: gli antichi protagonisti di una decennale avventura nella carta stampata, i Graham-Meyer cedono il passo al re del web, Jeffrey Bezos. L' acquisto da parte del Numero Uno di Amazon del Washington Post per 250 milioni di dollari segna il passaggio in una nuova epoca. Non quella dove i giornali di carta scompaiono - sembra ancora lontano il momento -, ma quella in cui vengono ridimensionati, diventato parte di un progetto editoriale e imprenditoriale che ha come struttura portante soprattutto il web e non più il cartaceo.

La notizia della cessione di uno dei più prestigiosi quotidiani mondiali si affianca a quella della ulteriore svendita di Newsweek. L'avventura solo sulla rete dell'ex settimanale - che aveva fatto parte del gruppo editoriale del Washington Post - si è rivelata un'agonia. Il web non è riuscito a rilanciarlo, e ora, la testata è stata ceduta a un gruppo semisconosciuto l'IBT.Media, dietro il quale, si vocifera, ci sarebbe David Jang, un predicatore asiatico. Un epilogo ben lontano dal glorioso passato vissuto da Newsweek, per anni, un esempio di giornalismo.

Ma, la piccola grande rivoluzione nell'editoria statunitense segna altre tappe in questi giorni: il Boston Globe è stata acquistato per 70 milioni di dollari da John W. Henry, il proprietario della squadra di baseball dei Red Sox. Un affare per lui, visto che il gruppo editoriale del New York Times aveva preso il quotidiano per più di un miliardo di dollari. In più, sarebbero in corso trattative per la cessione del Chicago Tribune e del Los Angeles Times.

La carta stampata cambia padrone. Ma se in questi ultimi casi si tratta per lo più di investimenti, la cessione del Washington Post è stato una sorta di shock per l'editoria (e non solo) a stelle e strisce.

Una storia leggendaria 

Ogni storia importante ha le sue frasi celebri. E noi, per raccontare quella del Washington Post partiamo dalle parole dette da John Mitchell, l'allora ministro della giustizia, il 28 settembre del 1972 al telefono di Carl Berstein, uno dei due cronisti, insieme a Bob Woodward, che stava seguendo il caso Watergate: "Ma voi volete pubblicare tutto queste palate di sterco sul giornale. E'già stato tutto smentito. Katie Graham finirà con le tette stritolate se pubblicate questa roba. Gesù Cristo: è la cosa più disgustosa che io abbia mai visto."

Alla fine, come si sa, chi finirà stritolato sarà Richard Nixon. Il Washington Post, la sua proprietaria, il suo mitico direttore Benjamin C. Bradleey, i sui giovani astri nascenti, diventeranno invece il simbolo della libertà di stampa, l'icona di una giornalismo indipendente in grado di smascherare davanti all'opinione pubblica il vero volto del potere; e di sconfiggerlo, anche il più forte, quando sbaglia, quando abusa delle sue prerogative. 

L'apice della storia del Washington Post viene raggiunto in quel momento. Un lungo percorso che era iniziato alla fine del 1800 e che aveva visto, prima dell'acquisto della testata da parte della famiglia Graham-Meyer più bassi che alti, più polvere che altari, più difficoltà che glorie, così legato come era il giornale al potere di Washington, così vincolato da esserne quasi fagocitato, in balia dei cambiamenti dei venti politici, dei presidenti e delle maggioranze parlamentari.

Quando nasce, nel 1877, il WP è un giornale di quattro fogli, di fatto ,bollettino del partito democratico. Che lo abbandona presto al suo destino. Nel 1905, viene comprato da John R. McLean, che lo trasforma in un quotidiano dedicato alla cronache sensazionalistiche e nell'house organ della presidenza Harding. Una ricetta che farà quasi fallire il giornale.

La svolta degli anni'30 e l'arrivo dei Meyer-Graham

E qui c'è la seconda frase celebre da segnalare, quella di Eugene Meyer, l'uomo che salvò il WP dalla bancarotta : "Noi abbiamo il dovere di fare un giornale per i nostri lettori e non per gli interessi privati dei suoi proprietari" - disse dopo averlo acquistato. Fu lui a volere il cambio di passo: maggiore indipendenza dal potere politico e giornalismo di migliore fattura. Trovò la strada giusta, che fu proseguita dal genero di Meyer, quel Philip L. Graham che prese in mano la gestione del giornale nel 1946. e che la portò avanti fino al 1963, quando si tolse la vita.

Prima del tragico gesto, aveva smacchiato quell'alone di provincia dalle pagine del quotidiano, aprendo le sue colonne alle grandi cronache e reportage dall'estero, ai disincantati racconti dell'America, ai lucidi resoconti della Washington dei palazzi del potere. Nel 1961, aveva acquistato il settimanale Newsweek. Ed è qui le storie di queste due testate si incrociano.

Arrivano Katie e Benjamin

Scomparso Philip, il testimone passò a Katie Meyer Graham, la moglie: "Dopo la sua morte, quello che accadde è che semplicemente misi un piede dietro l'altro, superai il bordo e con mia grande sorpresa, atterrai sulle mie gambe". In realtà, con lei, il Washington Post decolla e vola sempre più in alto. La mossa felice è chiamare alla direzione Benjamin C. Bradleey. Aveva dato un'ottima prova a Newsweek; farà diventare leggendario il quotidiano. Sarà il primo a pubblicare, insieme al New York Times, la Carte Segrete del Pentagono. Ma batterà il rivale quando scoprirà il caso Watergate. Katie lascerà le cariche sociali al figlio nel 1979, Bradleey rimarrà fino al 1991. Conquistando altri record, come il numero di Premi Pulitzer ottenuti in questi anni. 

Il Washington Post veleggerà poi, attraverso gli anni'90 e il primo decennio del nuovo secolo, producendo sempre un ottimo giornalismo, muovendosi verso posizioni più conservatrici in politica. E'la naturale risposta al concorrente di sempre. il New York Times, icona della stampa liberal. Il WP punta a un altro target. Sarà evidente con la guerra in Iraq. Il giornale della capitale ospita diversi articoli a favore dell'intervento di George W. Bush.

Mai in pessime acque economiche, ma mai in grado di evitare (da quel punto di vista) il piccolo cabotaggio, ora, con l'entrata nella proprietà di Jeffrey Bezos, il giornale vede nuovi orizzonti davanti a sé. Il nuovo proprietario ha detto che intende cambiare nulla. il suo obiettivo è lo sviluppo su internet e le sinergie che si possono creare in rete. Una scommessa. Come quella fatta e persa, invece, da Newsweek

L'agonia di Newsweek

Per cinquanta anni avevano viaggiato in coppia. Poi, nel 2010, il prestigioso settimanale, carico di debiti, era stato venduto al simbolico prezzo di un dollaro dalla società che controlla il Washington Post. Nel giro di pochi anni, 2007-2009, aveva perso una marea di soldi (era passato da un segno più 30 milioni a un segno meno per la stessa cifra), migliaia di lettori, e parecchie importanti firme. Neppure il tentativo di rilancio con Tina Brown, la direttrice del Daily Beast, neppure la decisione di cancellare l'edizione cartacea e rimanere solo sul web sono riuscite a risollevare le sorti della testata. 

Newsweek e tutta la sua redazione è stata venduta a un semisconosciuto gruppo editoriale. Sembra la storia dell'United Press International, la gloriosa agenzia di stampa che dopo una lunga agonia è stata acquistata nel 2000 dalla News World Communications di proprietà della Chiesa dell'Unificazione del Reverendo sudcoreano Sung Myung Moon. Eppure, Newsweek è stato un pezzo importante della storia del giornalismo americano.

Quando faceva concorrenza a Time

Nato il 17 febbraio 1933, dieci anni dopo Time, da un’idea di Thomas J.C. Martyn, un redattore di esteri della rivista fondata da Briton Hadden e Henry Luce, News - Week (come si chiamava allora) ha fatto fatica a diventare l’antagonista del prestigioso e potente predecessore. La sua esplosione è arrivata nei tardi anni’50, quando – sull’onda di un maggiore interesse degli americani per l’informazione e i media – la sua quota abbonamenti toccò quota un milione e mezzo.

Il salto di qualità arriva con Benjamin Bradlee (che poi andrà a guidare il Washington Post). la rivista detta l’agenda in politica, negli affari esteri e sulla questione dei diritti civili. Se Time rappresenta l’establishment, Newsweek lo racconta, spesso per criticarlo, se non addirittura per sfidarlo, da posizioni liberal. Famose le sue copertine sul Vietnam e sulle rivolte nere.

Il piano inclinato

Una tendenza che il giornale continuerà a seguire. Ma sarà questo il motivo dell’inizio del suo declino. La svolta conservatrice della società americana, l’avvento dell’Era Reagan, fanno perdere peso a un giornale che ora ha meno feeling con il grande pubblico americano, pur vendendo ancora molto.

Gli scoop non mancano, come quello che fa esplodere il Caso Lewinsky, ma la rivista non riesce ad essere accattivante. Rimane però sempre sulla rotta fino a quando alcune scelte editoriali sbagliate (un eccessivo alleggerimento delle cronache, a volte fin troppo frivoli e superficiali per la tradizione della testata) e alcuni errori negli investimenti, producono le perdite che riveleranno presto un vero e proprio crollo. 

L'epilogo

Per Newsweek rischia di essere drammatico. Ai margini del sistema editoriale e politico americano, condannato al possibile disinteresse del pubblico, la leggendaria testata dovrà combattere per sopravvivere almeno con la bombola di ossigeno. Diverso appare invece quello del Washington Post. Lanciato con il suo carico glorioso verso una nuova era, dove forse non sarà più il sole attorno al quale ruoteranno i pianeti, ma un importante satellite della nuova galassia, dove, una tra tutte, splenderà una nuova stella: il web. Ma questa è ancora una storia da scrivere.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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